25 Luglio 2018

Acción Romantica – Lautaro “La pelota siempre al Diez”

La rubrica di Stefano Mazzi: "Perché gli interisti sono gli ultimi dei romantici"

“Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”, cantava De Gregori nel 1982. Ora io non so di preciso chi sia mai stato questo Nino, e se poi, nonostante qualche rigore spedito in curva, ce l’abbia fatta sul serio a sfondare nel mondo del calcio. Però so che De Gregori non aveva ragione. Almeno non del tutto. Ci sono particolari che invece fanno un calciatore. Fin da subito. Ci sono dettagli che fanno capire immediatamente chi ha stoffa e chi invece è destino all’oblio del futbol. Si perché se hai 21 anni, ancora da compiere, e decidi di metterti sulle tue spalle la maglia numero 10 che un giorno fu di Luisito Suarez, Lothar Matthaus e un certo Ronaldo, allora non sei uno qualunque. Non puoi esserlo. Lautaro Martínez, detto “El Toro”, è già entrato nei cuori dei tifosi senza chiedere permesso, ma con rispetto. Delicatezza. Tranquillità. Senza proclami inutili o bagno di folla all’aeroporto in stile Gabigol.

Lautaro, o LauToro giusto per rimanere in tema, è più maturo della sua età. Sia caratterialmente che calcisticamente. Ha talento. Ha classe. Ha garra. E non ha paura. Di provarci, di mettersi a disposizione, di indossare numeri pesanti. Sa prendersi le sue responsabilità nonostante la giovane età. In pochissime settimane ha già dimostrato di essere diverso, di non essere la classica cometa sudaericana che attraversa l’oceano e l’Italia giusto il tempo di una stagione per poi tornarsene a casa in prestito l’estate dopo. Lautaro corre. Fa a sportellate. Le prende e le dà. Senza problemi. Lautaro pennella calcio. Un minuto prima è a centrocampo a sradicare un pallone rognoso dai piedi di un avversario e  venti secondi dopo, nella stessa azione, è al limite dell’area che pennella di esterno una palla meravigliosa per Candreva come lo Zidane dei tempi migliori. Questo è essere un 10. Il nuovo dieci del calcio moderno. Non più solo colpi di tacco e gambe tolte. “La pelota siempre al Diez”.

E in questa prima fase di ambientamento e scoperta di un mondo totalmente nuovo e così diverso da quello precedente, fondamentale è stata la presenza di Mauro Icardi, un ragazzo tante, troppe volte criticato ingiustamente solo perché fa una vita che tutti noi vorremo fare. Avercene di Maurito. Il capitano. Adesso sì, Capitano vero. Che ha deciso di prenderselo sotto la propria ala e di proteggerlo, cercando di farlo vivere il più possibile sereno in un momento così delicato. Un momento che tante volte, prima, è stato insuperabile specialmente per chi arriva dal Sudamerica. Una grande amicizia nata veloce e velocemente consolidata. Ed è proprio questa affinità, per adesso extracalcistica, che tutti gli interisti del mondo sperano di rivedere ben presto sul campo. È lei che fa ben sperare. Sognare. Il 9 e il 10. Per un tango che tutti sperano infinito. Come tanto tempo fa. Come a Vienna. Come Suarez per Mazzola. Beccalossi per Altobelli. Matthaus per Ramón Diaz prima e Jurgen Klinsmann dopo. Come Ronaldo per Zamorano. Sneijder per Eto’o. Quando la palla la teneva “el Diez” e “el Nueve” “le faceva accarezzare dolcemente la rete.

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