29 Dicembre 2016

Dal “Fozza Inda!” al Pioli “Potenziatore”. Le 5 pillole del 2016 interista

Un altro anno sta per finire ed è pronto a diventare solo un ricordo. Tra polemiche, uscite con stile, biografie, valzer di allenatori e di presidenti, è tempo di rivivere un 2016 pieno di frasi da scolpire sul muro nerazzurro

Icardi e i tifosi

battistini inter icardi

Arrivi ad essere capitano dell’Inter a 22 anni. Il rapporto con i tifosi è piuttosto litigioso. Ancora avvolta dal mistero la vera ricostruzione della maglia rifiutata dai tifosi al termine di quel Sassuolo-Inter del febbraio 2015. Ma Mauro Icardi sente l’esigenza di una biografia: “Sempre avanti, la mia storia segreta”. Aneddoti, bei momenti, poi loro: le pagine 62-64, che scatenano una bufera. La Curva non lo riconosce più come capitano, l’Inter non chiede il ritiro del libro, ma una modifica che significa riedizione. Questo porta la prima edizione ad andare a ruba. Icardi in campo sbaglia un rigore, ma poi continua a segnare. Alla fine vincono tutti: o forse nessuno.

“L’episodio lo ricordo ancora con precisione maniacale, e su YouTube ci sono un marea di video che possono darmi ragione. In quell’occasione ero in panchina e per noi la partita iniziava a girare male: perdiamo 2 a 0 contro il Sassuolo. A ripresa iniziata, Mancini mi fa entrare e alla fine del secondo tempo, all’83’, faccio gol. Metto a segno l’unico nostro gol della partita, che finisce 3-1 per i padroni di casa. Sono molto amareggiato, anzi, incazzati, perché ho giocato pochissimo. I tifosi iniziano ad urlare: ci chiamano sotto la curva. Trovo il coraggio di affrontarli, insieme a Guarin. Mentre mi avvicino mi arrivano insulti e grida di ogni genere. Attaccato alla rete c’è un bambino che mi chiama: vuole la mia maglia. Per l’età che ha potrebbe essere mio figlio: mi tolgo la maglietta e i pantaloncini e glieli lancio, come regalo. Lui è al settimo cielo e io sono contento di averlo reso felice. Peccato che un capo ultrà gli vola addosso, gli strappa la maglia dalle mani e me la rilancia indietro con disprezzo. In quell’istante non c’ho più visto, lo avrei picchiato per il gesto da bastardo appena compiuto. E allora inizio a insultarlo pesantemente: <Pezzo di merda, fai il gradasso e il prepotente con un bambino per farti vedere da tutta la curva? Credi di essere forte? Stai zitto, devi solo vergognarti, e vergognateci tutti>. Detto questo, gli ho tirato la maglia in faccia. In quel momento è scoppiato il finimondo. A stadio vuoto la dirigenza ci chiede di tornare in campo per parlare con i tifosi. Scelgo di andarci come volontario, non avendo di certo paura di nessuno di loro. Gli ultrà pretendono le mie scuse, ma io non devo scusarmi di niente. Anzi, rincaro la dose: <Se siete dei veri tifosi dovete applaudire quando si vince ma anche quando si perde>, dico al capo dei tifosi. Nessuno prima di me aveva mai trovato il coraggio di affrontare in modo così diretto la tifoseria, anzi, i capi storici della tifoseria interista. Negli spogliatoi vengo acclamato come un idolo. A dirla tutta, i dirigenti che erano presenti, temevano che i tifosi potessero aspettarmi sotto casa per farmela pagare. ma io ero stato molto chiaro: <Sono pronto ad affrontardi uno a uno. Forse non sanno che sono cresciuto in uno dei quartieri sudamericano con il più alto tasso di criminalità e di morti ammazzati per strada. Quanti sono? Cinquanta, cento, duecento? Va bene, registra il mio messaggio e faglielo sentire: porto cento criminali dall’Argentina che li ammazzano lì sul posto, poi vediamo>. Avevo sputato fuori queste frasi esagerate, per far capire loro che non ero disposto a farmi piegare dalle minacce”.