5 Settembre 2016

EDITORIALE – L’ennesimo anno zero. E se non fosse un male?

Il consueto editoriale del lunedì, tra la nuova proprietà e le vecchie ambizioni. Coi soliti anni zero...

Suning Group

zhang inter

L’Inter non ha iniziato bene il campionato. È un fatto ed è inutile girarci attorno. I primi due risultati danno ragione a tutti coloro che profetizzavano un abbrivio complesso per il Biscione, figlio dell’avvicendamento tardivo tra allenatori e anche del lavoro approssimativo che un Mancini in crisi ha svolto a luglio. Il punto è che adesso la situazione vede solo un enorme cartello “lavori in corso”  campeggiare fuori da Appiano Gentile e chi sperava che – nonostante l’arrivo di de Boer – questo potesse comunque essere l’anno due dell’immaginario trittico iniziato con l’esonero di Mazzarri e l’insediamento del Mancio, ha dovuto invece prendere contatto con la realtà e capire che siamo di fronte all’ennesimo anno zero.

Chi non ne può più di ripartire da capo per l’ennesima volta nel giro degli ultimi cinque anni ha tutte le ragioni del mondo, ci mancherebbe. Però è la realtà dei fatti che ci chiama a rendercene conto e, attenzione, non è nemmeno detto che sia un male. Prima di tutto perché era veramente complesso pensare che lo sviluppo della squadra potesse progredire nonostante una scossa tellurica come il cambio di proprietà. Allo stesso modo, l’arrivo di Frank de Boer a Milano significa anche un cambiamento francamente epocale per quella che è la filosofia di gioco tradizionale dell’Inter: l’olandese proverà infatti a mutare una consolidata tendenza alla ripartenza, al contropiede, che ormai dominava da un abbondante decennio gli schemi della Beneamata.

Non è ovviamente ancora dato sapere se questa rivoluzione copernicana si attuerà fino in fondo né se sarà efficace: l’ultimo tentativo fatto, quello di Benítez, finì decisamente male – come ricordano in tantissimi. Ancora peggio fu invece il destino di Orrico, l’unico altro tecnico che ha cercato di impostare qualcosa di diverso negli ultimi trent’anni. Del resto è palese che la filosofia di cui de Boer è epigono ha attecchito pochissimo ad Appiano Gentile nel corso dei decenni passati.

Non è detto che sia un male, anzi, tutt’altro: se il cambio di gestione doveva scombussolare le carte in tavola, meglio che succedesse da subito piuttosto che continuare col canovaccio manciniano (peraltro in di salute evidentemente precaria sin dal giorno uno di gestione Suning). Certo, la transizione rischia di essere dolorosa e non soddisfacente dal punto di vista dei risultati ma la scommessa “società nuova più filosofia di gioco nuova” non può non accendere un filo di speranza o, perlomeno, di curiosità. Non so chi legge ma io – ormai da anni – non ero così curioso per quelle che saranno le sorti della mia squadra come stavolta (ed è già un risultato sorprendente, tutto sommato). Questa stagione ho una discreta voglia di concedere al mio fegato di essere triturato dall’Inter e non penso che sia solo una questione di masochismo latente.

La chiara speranza è che la squadra riesca a invertire la tendenza anche sul campo, possibilmente iniziando a macinare punti e conducendo un campionato che ci renda fieri ma, stavolta, percepisco dal pubblico nerazzurro un desiderio di quanto meno provare a essere paziente che non sentivo da una vita. I tempi sono giusti perché si giochi per un’altra volta la carta dell’anno zero e, a differenza dell’interregno 2011-2016, forse la speranza viene dall’atteggiamento revanchista che la proprietà cinese ha mostrato finora (sul mercato). Come dire: sanno che sarà un anno zero ma sono ultra determinati a far sì che solo quest’anno lo sia.

Per quanto visto tra Mazzarri, Stramaccioni, Gasperini e Mancini, lasciatemelo dire, è già qualcosa.