16 Novembre 2015

EDITORIALE – Ripensare a Yaya Touré

È strano approcciarsi a una partita di campionato senza che alle proprie spalle ci sia un’altra partita di Serie A: queste pause per le Nazionali sono dei momenti davvero particolari e, nonostante siano ormai consuetudine da tanti anni, non abbiamo ancora finito di abituarci all’idea che – tra autunno e inverno – il campionato s’interrompea […]

È strano approcciarsi a una partita di campionato senza che alle proprie spalle ci sia un’altra partita di Serie A: queste pause per le Nazionali sono dei momenti davvero particolari e, nonostante siano ormai consuetudine da tanti anni, non abbiamo ancora finito di abituarci all’idea che – tra autunno e inverno – il campionato s’interrompea una volta al mese per lasciare spazio agli incontri internazionali.

In realtà, l’assenza o quasi di contenuti made in Serie A ci consente di vagare con la mente oltre i confini del mero commento alla gara che è stata o al pre-partita di quella che verrà, soffermandoci magari su questo o quel particolare che a velocità di svolgimento normale del campionato non avremmo mai notato. Meglio ancora, la pausa forzata è anche una chance per astrarsi dal contesto del partita-dopo-partita e provare a guardare con più distacco la situazione della propria squadra e, chissà, magari anche con più obiettività e lucidità, scorgendo le cause dei risultati ottenuti, gli episodi favorevoli (o sfavorevoli) rimasti più in ombra, gli spunti tattici e quelli psicologici.

Ma l’operazione forse più interessante da fare in queste fasi di staticità imperante è riavvolgere il nastro e cercare quelli che in alcune vecchie storie a fumetti della Disney (e in un programma dell’interistissimo Enrico Ruggeri) erano chiamati “bivi”, ossia i momenti in cui la storia ha preso una piega ben definita invece di un’altra, quelli che in inglese si chiamano sliding door.

Pensando a ciò che sta accadendo oggi all’Inter, può essere particolarmente divertente tornare con la mente a sei mesi fa e anche più, quando la rifondazione manciniana dell’estate 2015 sembrava dover per forza passare dall’approdo in nerazzurro del totem ivoriano Yaya Touré. Il numero 42 dei Citizens è uno dei migliori centrocampisti dell’attuale panorama calcistico e probabilmente il candidato principale a essere il simbolo vincente del Manchester City degli sceicchi, nonché uno dei tanti pupilli di Mancini in giro per l’Europa (anche perché un qualsiasi appassionato/presidente/allenatore/tifoso/scemo del villaggio che non annoveri il grande Yaya tra i suoi pupilli non è del tutto degno di camminare su questa terra, a dirla tutta): considerato tutto il battage mediatico sollevatosi riguardo a un suo eventuale arrivo all’Inter, oggi fa quasi sorridere quanto venisse considerato scontato e imprescindibile il suo arrivo per la nuova incarnazione manciniana del Biscione ma – soprattutto – è davvero ilare dove sia riuscita ad arrivare la Beneamata nonostante Touré sia rimasto – e non proprio a torto, diamo a Cesare quel che è di Cesare – a godersi il celebre clima di Manchester.

Sgombriamo il campo da ogni dubbio: Yaya sarebbe un grandissimo colpo di mercato per qualunque club europeo e l’Inter non fa eccezione nel modo più assoluto (anzi!) ma, d’altro canto, è bello pensare di essere riusciti a trovare un fantastico inizio di stagione nonostante il campione africano non sia mai giunto alla corte di Mancini. La posizione di classifica, la solidità di squadra, il cinismo con cui la squadra nerazzurra ha saputo accumulare risultati su risultati finora ci consentono infatti di guardare al mancato arrivo di Touré con un sorriso e, in effetti, il non essere adesso a Milano consente allo stesso centrocampista di continuare a illuminare i campi di Premiership e di dominare la League table con i suoi compagni (peraltro ci sono anche tutti i segnali che fanno presagire a un’annata migliore del solito anche in Champions, per gli Skyblues).

Sicuramente, in un presente parallelo, c’è un gigante del pallone che domina in mezzo a tutti i campi di Serie A con il 42 sulle spalle e un carisma assolutamente abnorme, un uomo in grado di lanciare in profondità Icardi come di scendere in progressione verso la porta avversaria con la potenza di un tir e almeno un paio di difensori appesi alla sua maglietta ma, tutto sommato, non potremo mai sapere se anche in quel presente parallelo l’Inter è prima in classifica con appena sette gol al passivo in dodici partite.

Ciò posto, anche se probabilmente non è il caso di dirlo troppo forte, è persino-forse-magari-addirittura un bene che Yaya Touré non sia mai arrivato a Malpensa, in un tripudio di bandiere e di cori dei tifosi, con tutte le aspettative del caso (anche se, d’altro canto, chi l’ha detto che il buon ivoriano non possa ancora arrivare ad Appiano Gentile, magari l’anno prossimo?).

Per ora, comunque, Yaya non c’è e si sta bene così. Chi l’avrebbe mai detto?