10 Giugno 2018

L’Intertinente – Qualcuno lo dica a Kondogbia, a Joao Mario e… anche ad Icardi: l’Inter è una cosa seria

Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza di essere nerazzurri

Di Alex Angelo D’Addio

Intrufolarsi nella selva dei commenti relativi a cronache (più o meno) pregresse, e sperare di offrire spunti alternativi ed innovativi all’opinione pubblica, sono presupposti pretenziosi, in quanto la perfetta sincronia tra una notizia e la discussione ad essa conseguente è la garanzia massima per intercettare l’interesse collettivo e per ricevere attenzione. Talvolta, però, accade che alcune nuove stimolino il dibattito e riecheggino più a lungo di altre, sino a protrarsi per giorni interi, lasciando strascichi che alimentano polemiche complesse da spegnere.

La panoramica appena mostrata è ciò che l’Inter e i suoi osservatori stanno attraversando da circa una settimana, sommersi da valanghe di parole e da profluvi di inchiostro e costretti a risalire l’onda anomala di indiscrezioni e baggianate, che hanno ostruito i canali di discussione. Ad inacidire i toni, ci hanno pensato le insensate e fuorvianti esternazioni di Joao Mario, che lo scorso lunedì, dal ritiro pre-Mondiale del Portogallo, ha sganciato l’ennesima bomba mediatica sulla Pinetina e sull’ambiente nerazzurro in generale. Fin da un primissimo acchito, le sue parole appaiono dense di rancore e di frustrazione: da un lato perché cosciente di aver disatteso le aspettative riposte nelle sue (improbabili) qualità superiori, e dall’altro per la disonestà intellettuale di non accettare i suoi limiti.

Ovviamente, l’ordigno comunicativo elaborato dal lusitano ha appiccato la scintilla dell’indignazione fra i tutori della causa nerazzurra, tanto da avviare petizioni ed insurrezioni per incoraggiare chi di dovere ad una sua immediata cessione, rimarcando l’inopportunità che un professionista ammetta indebitamente di non preferire una società che, in data odierna, lo annovera a libro paga. Comunque, benché fisiologica, la reazione appare lievemente ritardata, se si considera che, soltanto pochi mesi fa, un altro tesserato di Suning abbia dato libero sfogo alla propria indisponenza: dalle sponde valenciane, Geoffrey Kondogbia è ritornato sulla sua fallimentare esperienza milanese, imputando alla frenesia dell’orbita nerazzurra la ragione delle sue impalpabili prestazioni. Subito dopo, poi, l’agente del francese ha tessuto lodi indirette al Milan, supponendo che a Milanello certi frangenti sarebbero stati gestiti in maniera differentemente efficace – anche se qualcuno dovrebbe metterlo in guardia dalle doti di amministrazione economico-finanziaria dei vertici rossoneri.

Sullo sfondo di dati trascorsi, le dichiarazioni di Joao Mario appaiono farneticazioni di uno sprovveduto, sebben si combinino alla perfezione con le uscite altrettanto abominevoli del centrocampista transalpino e del suo procuratore; anzi, le circostanze sono complementari e sovrapponibili, poiché entrambe le vicende si riassumono in un assunto: la consapevolezza dei protagonisti di aver impattato cruentemente contro l’imponenza della Storia dell’Inter, e di non averne retto il peso della maestosità. Perché la Beneamata è cosa troppa seria per essere accostata all’incomprensione di personalità ottuse: è tradizione, ultra-secolarità, onore, identità territoriale, ineguagliabile unione fra la dimensione cosmopolita della sua eredità simbolico-cittadina e l’essenza campanilistica di un’italianità strapaesana.

L’Internazionale è un dogma, e San Siro è la Cattedrale che ne celebra la sacralità: i fedeli la adorano, e gli eretici ristagnano nel lungo periodo. Categoria alla quale Kondogbia e Joao Mario sono ascrivibili, e in cui potrebbe rovinosamente essere declassato anche Mauro Icardi, a meno che metta a bada le smanie da protagonismo e disarmi il narcisismo da copertina della moglie. Certe dinamiche, inoltre, sono interconnesse da un minimo comune denominatore, che è l’inspiegabile presa di posizione dei dirigenti, i quali in nessuna delle circostanze elencate hanno ventilato sanzioni, né diffidato i succitati dal reiterare atteggiamenti così meschini. Il suggerimento spassionato, quindi, è che chi di dovere – Ausilio, Gardini, Antonello? – si muova: un’ossatura societaria attenta ed intransigente – attributi che fanno rima con competenza – e un organigramma direttivo solido e lungimirante sono le basi per un futuro vincente. Non per arroganza o prosopopea, ma è meglio tenerlo a mente.

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