3 Febbraio 2018

L’Intertinente – Zenga e l’Inter: quando l’appartenenza è un valore

Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza di essere nerazzurri

La coincidenza fra la chiusura della finestra invernale di mercato – proprio sulla soglia del traguardo, rivelatasi avara di irruzioni che sconcertassero positivamente l‘assetto esistente – e la sfida al Crotone di stasera non è casuale: dopo un mese di rincorse a vani desideri di trasferimenti, si torna alla realtà del campo, con le venature romantiche e nostalgiche che soprattutto incrociare Walter Zenga comporterà. Incasellare questa partita nella canonicità di un conforto comune, sarebbe menzognero e per giunta irriguardoso nei confronti del trascorso nerazzurro di uno degli esempi più solidi e brillanti di ciò che l’Inter abbia rappresentato e tuttora rappresenti nella complessità della sua essenza.

L’intensità dei ricordi scavalcherà persino la delicatezza del momento, dato che Spalletti e compagnia dovranno ribaltare lo scenario di un’Internazionale in cerca di sé e in astinenza da vittorie da due mesi esatti. Benché accorreranno comunque a sostegno dell’undici spallettiano, i frequentatori di San Siro non potranno mettere a freno le commosse sensazioni che accompagneranno la gara e ne sanciranno la conclusione, specie alla luce delle dichiarazioni dello stesso Zenga che, in assoluta sincerità, ha rinnovato ai tifosi interisti l’appuntamento per una commemorazione prima del fischio d’inizio e dopo quello finale.

La trasparenza dell’apparato societario – molto blanda nell’ultimo gennaio – potrebbe trarre spunto dalla nitidezza con la quale l’ex estremo difensore milanese ha definito la sua identità. Infatti, l’abbondanza dei proclami e la povertà dei risultati conseguiti vanno a braccetto e smascherano la celata mediocrità che ha caratterizzato l’operatività dirigenziale, a cui non si chiede di mutare – consapevoli che le potenzialità economico-finanziarie della proprietà siano ingabbiate da stritolanti fattori -, ma di evitare la pomposità sugli obiettivi e sui progetti futuri, consequenzialmente al fatto che manchino le coperture minime.

Semmai fosse complicato, basterebbe recuperarsi le esternazioni di Zenga nella conferenza stampa di ieri, dove la compostezza della professionalità si è arresa all’istinto delle viscere: “[…] Sono sicuro che ci sia reciproco amore tra me e l’Inter e questo è evidente, […] quello è il mio stadio, quello è stato parte della mia vita, quel club è la mia vita. […] I tifosi nerazzurri apprezzano le persone che hanno passione e senso di appartenenza”. Oppure, riprendere la replica alle contestazioni del Meazza successiva a Milan-Crotone: “[…] Sono interista e sono contento di esserlo: mi fischino, facciano quello che vogliono; […] mi dà ancora la soddisfazione di aver fatto parte di un’era nella quale vengono riconosciuti gli avversari, è un atto di onore nei miei confronti”.

Oltre a risuonare di maestosità, queste parole dovrebbero essere scolpite nelle mura della Pinetina e meriterebbero d’essere trasmesse reiteratamente in ogni sessione di allenamento e in qualsiasi spogliatoio si accomodino gli indegni eredi contemporanei di un sentimento di affiliazione d’altri tempi, che culmina nella profondissima testimonianza dell’immenso ed intramontabile Numero 1.

Rimarcando l’importanza del legame con l’ambiente neroblu, Zenga ha osannato il privilegio di specchiarsi nell’Inter e il valore di tutelarne la storia. Solo questo sarebbe sufficiente a rescindere qualche contratto e a mettere all’angolo soggetti che prima di peccare di nulla serietà, non sono uomini; dunque, si tirino fuori taccuino e biro, e si prenda nota del non contrattabile principio dell’Interismo: Zenga insegna.

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