30 Maggio 2015

FOCUS – Lo strano caso Alvarez

Nella giungla del calciomercato, dove tutto vale ed ogni mezzo pare giustificato pur di ottenere il tanto desiderato cartellino conteso, risulta quantomeno curiosa la questione nata attorno a Ricky Alvarez, trascinatosi anche quest’anno verso la fine dell’ennesima annata deludente sull’ambizioso palcoscenico del calcio europeo. Eppure, almeno in questa circostanza, non pare essere una semplice questione di rendimento: parecchi calciatori, repentinamente passati da un calcio poco tattico e con ritmi differenti come quello sudamericano ad un calcio tattico e complesso come quello italiano, hanno patito il “salto”, non riuscendo a riprodurre neppure in maniera marginale quanto mostrato in patria. Potrebbe essere ad esempio il caso di Rubén Botta, arrivato all’Inter dopo un grave infortunio ai tempi del Tigre e passato dopo una lunga degenza dai margini della rosa nerazzurra al Chievo, dove dopo un inizio appena sufficiente ha pian piano (complice l’arrivo di Maran) assaporato l’amaro gusto della panchina. Lo scarso minutaggio può giustificare in parte l’annata del ragazzo, ancora non completamente testato al 100%, quindi soltanto il tempo, almeno nel suo caso, potrà assolvere o condannare le capacità del giocatore cresciuto nel Boca.

Discorso totalmente differente va fatto per il protagonista dell’approfondimento di oggi, ai margini di due squadre appartenenti a due campionati differenti, dopo una medaglia d’argento al Mondiale (seppur da gregario) e quasi novanta presenze tra Serie A e Premier League. Nessuno vuole Ricky Alvarez e quest’ultimo non è più una scommessa, inutile girarci troppo intorno. Spezzando una lancia a favore dell’ex numero 11 nerazzurro va sottolineato l’annus horribilis sotto il punto di vista fisico, che gli ha permesso di raccogliere la miseria di 728 minuti (ed un bel gol)  totali tra le fila del Sunderland, coppe nazionali incluse. Non un bene per i Black Cats, ma soprattutto non un bene per l’Inter, visto che sul capo di Ricky Maravilla pende un oneroso riscatto di 10,5 milioni di euro, a cui vanno aggiunti ulteriori 500.000 euro già versati per il prestito oneroso valido per la stagione appena conclusa. Già, il riscatto, obbligatorio per l’Inter in caso di salvezza dei biancorossi (recentemente raggiunta, ma che fatica! Guarda QUI la classifica), facoltativo per gli stessi inglesi, che giurano e spergiurano di non dovere alcuna somma ai nerazzurri se non in caso di un ipotetico quanto improbabile riscatto. L’Inter dal canto suo pare poter vantare una documentazione in grado di attestare l’eventuale inadempimento degli inglesi e sarebbe disposta a discutere la questione davanti alla FIFA pur di ottenere la somma pattuita. Gli inglesi rilanciano, facendo leva secondo i tabloid locali, sull’inadeguata condizione fisica del giocatore che ha di fatto compromesso l’annata. La duplice visione dei Black Cats sembra però contraddirsi a vicenda: è un diritto di riscatto, quindi esercitabile facoltativamente, o un obbligo di riscatto al quale ci si oppone a causa dell’inadeguata condizione fisica del giocatore (che oltretutto aveva effettuato delle visite mediche in terra inglese prima di essere definitivamente tesserato)? Soltanto il tempo e probabilmente le due dirigenze potranno rispondere alle mille domande su quella che è ormai la “questione-Alvarez”, ormai giunta ad un punto di non ritorno considerando la fine della stagione degli inglesi (e quindi del prestito oneroso) e quella imminente dei nerazzurri.

Un’analisi di altro tipo potrebbe invece essere fatta, infortuni a parte, sul perché di fatto Ricky fatichi così tanto ad emergere: partendo dall’aspetto tattico, il primo problema che salta all’occhio dello spettatore più attento riguarda la difficile collocazione tattica del giocatore, enigma sorto sin dalle primissime apparizioni in maglia nerazzurra. Ricky ha infatti giocato sia da esterno destro e sinistro nel 4-4-2 di Ranieri, alternando discrete prestazioni come quella contro il Lecce nella quale trovò anche il suo primo gol in nerazzurro a gare da oggetto misterioso, che hanno ahinoi trovato continuità sotto la gestione Stramaccioni, dove l’argentino è stato utilizzato sia da trequartista che da seconda punta. A cambiare forse definitivamente le sorti tattiche di Alvarez è invece stato Mazzarri, convinto sostenitore dell’ex Velez come interno di un centrocampo a tre in grado di muovere il proprio raggio d’azione sia in fase offensiva che in fase passiva (memorabile la prestazione dell’argentino in Inter – Juventus 1-1, nella quale propiziò anche il primo gol nerazzurro di Mauro Icardi), ottenendo riscontri più che positivi dalle prestazioni del giocatore nella prima parte di stagione. Poi l’ennesimo ed imperdonabile calo, con il giocatore preso più volte di mira dai sostenitori a causa anche di qualche tocco di palla in più quando era forse il caso di giocarla più velocemente ed in maniera più efficace e meno fumosa. Allacciandoci ai tentativi a volte evanescenti di futbol bailado di Ricky, passiamo al secondo aspetto, quello tecnico che tanto ha fatto discutere durante la sua permanenza in nerazzurro: Claudio Ranieri parlava di chip da cambiare per europeizzare il talento di Ricky ottimizzandolo al massimo in relazione al gioco di squadra e con il senno del poi non ha mai avuto torto. Quel tocco in più a volte, unito ad un passo non propriamente da centometrista, può risultare nocivo all’interno dei meccanismi del collettivo, spesso basati su movimenti omogenei e frutto del lavoro di almeno tre giocatori per porzione di campo. Concludiamo con un’ultima riflessione sullo strano caso Alvarez, schiavo del suo fumoso talento e di un calcio che, soprattutto per colpe proprie, non riesce a trovargli una dimensione. Riuscirà, a prescindere dal comunque poco edificante esito del tira e molla (più molla che tira in questo caso) tra Inter e Sunderland, ad ottenere la fiducia necessaria per ripartire alla ricerca dell’equilibrio mai trovato? Sarebbe la terza opportunità, la più preziosa ed impossibile da sprecare se si vuol continuare a navigare tra i mari dell’elite europea e non naufragare nelle oscure acque di seconda fascia.

di Giuseppe Chiaramonte

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