16 Giugno 2012

FOCUS – Quando l’assist servirebbe al buon senso

Parlare di calcio vuol dire parlare innanzitutto di persone, di uomini e di donne ognuno parte di un mondo che non si ferma al rettangolo di gioco ma integra per forza di cose le vite e la dignità di chi è inglobato nella sfera del pallone. Ecco perché non trovo condivisibile il pensiero di chi sistematicamente con un ?torniamo a parlare di calcio? vorrebbe liquidare in una sola battuta tutto ciò non concerna direttamente quella palla che rotola da una porta all’altra, che si tratti di uno scandalo di proporzioni bibliche o di una semplice caduta di stile, cercando in questo modo di tirare un solco artificioso e inaccettabile tra il gioco e la realtà, i personaggi e le persone.

Certo, spesso capita di pensare che per alcuni individui risulterebbe più costruttivo il silenzio che un irresponsabile lanciare nel vuoto parole poco rispettose, spesso inutili, certamente censurabili: ed è esattamente quello che mi verrebbe da dire a chi negli ultimi giorni è riuscito a rendere un po’ più nero il momento già non particolarmente brillante del calcio italiano, così come a guastare almeno in parte quell’oasi di puro divertimento e spettacolo che poteva rappresentare questo europeo per la nostra nazionale e i suoi tifosi.

Il riferimento è alla questione dei gay nel mondo del calcio, che solo a presentarla in questi termini dovrebbe far o sorridere o provocare una smorfia tra il sorpreso e lo stizzito, se non altro perché parlare di un ?problema? omosessuali (come qualcuno lo definisce) nel 2012 risulta essere qualcosa di estremamente sconsolante. Non si capisce infatti dove risieda un qualsivoglia tipo di problema nel sapere che in un club, in una nazionale o in qualsiasi altro posto al mondo (calcistico e non) esistano più o meno persone che abbiano un orientamento sessuale diverso dal proprio, orientamento sessuale considerato per di più  non convenzionale se non addirittura aberrante per evidenti deficit culturali da parte di chi tale giudizio esprime.

Questa è la domanda che mi verrebbe da fare a quei giornalisti (vogliamo chiamarli così?) che con un certo prurito malizioso e provinciale si sono divertiti nell’ultima settimana a chiedere a vari esponenti del mondo del calcio nostrano (di oggi e di ieri) cosa pensassero della presenza dei gay negli spogliatoi e sui campi da gioco calcistici, addirittura arrivando a chiedere il numero di loro e magari pure il nome, così forse da poterli individuare e farli assicurare a qualche lazzaretto come pericolosi appestati da chissà quale malattia infettiva e raccapricciante.

All’amo di queste mefitiche esche giornalistiche abboccano ovviamente i soggetti ?più deboli? culturalmente, leggasi alla voce calciatori, che come Di Natale o Cassano fanno felici gli avvoltoi dell’informazione spazzatura con dichiarazioni al limite dello sconcertante: perché se è vero che probabilmente non ci si può attendere a priori da alcuni personaggi nulla di più, e che ognuno resta libero di esprimere il proprio pensiero, ciò che è meno ammissibile è sentir parlare di esseri umani aventi la stessa dignità di chiunque altra persona sulla faccia della terra con epiteti offensivi ed espressioni degne del miglior palinsesto di avanspettacolo omofobo e larvatamente ghettizzante, dalle labbra di chi in quel momento tra grasse risate e decine di telecamere sta indossando una divisa che profuma e pesa di rappresentanza di un intero paese.

Cassano per dirla come chi vuol sempre e comunque ?tornare a parlare di calcio giocato? è un ottimo assistman, ma per dirla come chi invece vuol parlare di calcio come sport e come teatro di vita e di vite, stavolta si è reso protagonista di un brutto autogol, per sé e per il nostro paese; ciò per il semplice fatto che seppure lui come suoi altri colleghi sono probabilmente omofobi certo non si può costringerli a cambiare opinione, ma trattandosi di personaggi che hanno un forte ascendente soprattutto sui più giovani dovrebbero fare lo sforzo quanto meno di pensare prima di spararle grosse, o almeno utilizzare un minimo di buon senso per evitare di mandare messaggi in mondovisione che inneggiano a forme di discriminazione oggi davvero insopportabili.

Chi invece da questa vicenda esce a testa alta è uno di quei campioni dentro e fuori dal campo, uno di quei giocatori che prima di essere tali sono innanzitutto Uomini: si parla di Diego Milito, che nell’occasione più che un assist ha fatto come al suo solito un gran bel gol, e stavolta a favore del buon senso, del rispetto e della civiltà, servito splendidamente da un?altra persona per bene del calcio italiano, Cesare Prandelli. Mi sembra opportuno chiudere con le loro parole questo articolo, perché riassumono bene quello che dovrebbe essere un pensiero condiviso e perché fanno sperare che pure in un mondo a tratti nauseante come quello del calcio grazie a gente come loro qualcosa un giorno potrà cambiare in meglio. A vantaggio di tutti.

 “Nel mondo del calcio e dello sport resiste ancora il tabù nei confronti dell’omosessualità, mentre ognuno deve vivere liberamente se stesso, i propri desideri e i propri sentimenti“. C. Prandelli

 “Non mi è mai successo di conoscere un compagno, un collega con questo tipo di segreto, almeno non l’ho percepito. Ma sarebbe sbagliato tacere. Sono sicuro che tifosi e compagni, così come gli sponsor, continuerebbero ad amare il calciatore non preoccupandosi della sua vita privata e non gli farebbero pesare nulla“. D. Milito