12 Aprile 2015

FOCUS – Nani sulle spalle di giganti

Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti

“Nani sulle spalle di giganti”: Bernardo di Chartres, filosofo francese vissuto nel XII secolo, usava questa curiosa metafora per descrivere il naturale collegamento tra la cultura moderna e quella passata, capace di emergere soltanto grazie alla spinta del passato, punto di slancio imprescindibile. Muovendoci qualche secolo in avanti in direzione Verona, non sarà certamente la vittoria di ieri a rendere meno amaro il calice della stagione 2014/2015, sempre più vicina ad un epilogo totalmente distante dalle aspettative estive. Poche settimane e sarà di nuovo tempo di programmazione in vista dell’ennesimo “nuovo ciclo”, ultimo forse a disposizione di una squadra che dopo i recenti fasti mourinhiani ha a malincuore convissuto con gli spettri di un passato talmente grande e famelico da pesare sui capi nerazzurri quasi fosse una moderna Spada di Damocle. Eppure il passato, nella sfaccettatura della famosa Historia magistra vitae ciceroniana dovrebbe essere un amico fedele sul quale poter contare, una guida nei momenti di maggior difficoltà, un faro nel buio. Ma proviamo a fare chiarezza su questo concetto: nel calcio (ma non solo) il background sportivo costituisce parte dominante del patrimonio genetico di una società. Passeranno gli anni, gli allenatori, i calciatori ed i tifosi, ma il passato, prima o poi, tornerà a batter cassa. Per questo motivo risulta estremamente necessario riuscire ad usarlo come arma a favore e non come zavorra in una mongolfiera già di per sè eccessivamente carica di paure ed ambizioni. In principio fu il fantasma di Jose Mourinho: Benitez impose un nuovo ciclo, imponendo al suo nuovo ambiente di alzare un muro immaginario in grado di separare quella Inter dalla sua, quasi a prevedere possibili ripercussioni esclusivamente negative di un’ epoca comunque ancora rovente ed ormai parte integrante del mondo Inter e dei calciatori del tempo. Andò male, tanto, troppo, dando vita al più recente e celebre caso di “passato nemico”. Obiettivo comune deve però essere quello di andare oltre questo concetto, provando come già detto sopra a trasformarlo in un altro diametralmente opposto, in grado di illuminare anche soltanto di riflesso il percorso dell’Inter che per l’ennesima volta proverà a rinascere dalle proprie ceneri.

Nella caccia al meglio del nostro passato da rielaborare in chiave moderna non può assolutamente non trovare posto l’aspetto mentale, caratteristica storica di un’Inter che, follie da 5 Maggio a parte, ha sempre lottato con le unghie e con i denti potendo sempre uscire dal campo a testa altissima cosciente di aver dato tutto quello che era possibile dare su un terreno di gioco, sia sotto l’aspetto fisico che sotto quello psicologico. All’Inter di questa stagione (Cesena e Parma insegnano) ed in alcuni casi anche di quella passata (emblematico lo 0-0 casalingo contro il Catania senza l’ombra di un vero tiro in porta) sembra proprio mancare quella concentrazione in grado di mantenere sul binario della costanza le sorti di incontri che fino a qualche anno fa avrebbero avuto esiti scontati. A braccetto con questo concetto non può non andare quello delle famose “mura amiche“, che in questa stagione di amichevole hanno avuto ben poco: su 14 gare a San Siro i nerazzurri hanno ottenuto soltanto 5 vittorie, bottino misero reso ancora più amaro dalle ben 4 sconfitte in quello che in passato è stato un vero e proprio fortino. È proprio in casa nostra che emerge il drammatico dato che forse più ci imbarazza rispetto al recente passato, se si pensa che il solo Mourinho finì il proprio percorso in nerazzurro senza mai perdere una gara al Meazza.

Altro insegnamento storico sul quale far leva per tornare grandi non può non passare dalla presenza di veri e propri leader in grado di capire il vero peso di quella tanto affascinante quanto scomoda maglia. L’Inter non è una squadra per tutti, non basta il talento per esserne parte. San Siro è un tritacarne, e per uscirne vivi bisogna capire cosa è l’Inter ancor prima di sposarla come causa sportiva. Lo spogliatoio ha bisogno quindi di guide affamate ma coscienti, istintive ma razionali, in una parola campioni e trascinatori in grado di trasmettere rispetto verso quella maglia capace di dare tanto nonostante presenti tante spine al proprio interno. I recenti successi è innegabile siano passati non solo da gruppi ma anche dallo spessore di singoli profeti del nerazzurro, dal sanguigno Materazzi al silenzioso Milito passando per il nobile tuttofare Eto’o, professionisti totalmente in simbiosi col mondo Inter tanto da esserne ormai parte eterna nelle memorie dei tifosi anche meno affezionati.

A questo punto risulta più che legittimo chiedersi chi o cosa possa rappresentare il vero tramite tra il passato nerazzurro ed il presente, e ad oggi la risposta non può non essere Roberto Mancini. Il Mancio è l’unico in grado ad aver vissuto sulle gambe dei giganti e sulle loro spalle, tornando alla metafora iniziale. C’era ai tempi dell’Ibra pigliatutto, c’è in quest’Inter da 41 punti in 30 gare, testimone di una parabola discendente che deve per forza di cose fermarsi, se non si vuol soffrire ancor di più in una risalita che appare già più complessa del previsto.

Il passato busserà anche alle porte del presidente Thohir, costretto già più volte a sbattere la faccia sui fantasmi di una vecchia Inter gestita in maniera totalmente diversa e oggetto di poco eleganti paragoni su situazioni che in comune hanno davvero poco, ma che per forza di cose finiscono mediaticamente e non per essere confrontate. In realtà al tycoon va riconosciuto il grande sforzo di calarsi nella realtà nerazzurra, ascoltando nel bene e nel male gli umori ed i consigli di chi quella maglia ce l’ha impressa a fuoco sul cuore: non risulta casuale la scelta Mancini per il post Mazzarri, quasi un gesto di apertura totale verso il passato positivo dal quale ripartire e del quale ormai proviamo a discutere da un bel po’ di righe.

Tornando a Bernardo di Chartres, il nostro auspicio è quello di vivere al meglio sulle spalle dei giganti che tanto c’hanno fatto gioire, provando a trarre da loro il meglio per poter un giorno crescere e diventare a nostra volta giganti ancor più alti ed indipendenti, perché dall’alto la vista è tutta un’altra cosa.

di Giuseppe Chiaramonte