16 Maggio 2012

FOCUS – “Una montagna di ricordi…”

C’è un momento della vita in cui anche un ragazzo di ventidue anni si accorge che il tempo passa, inesorabilmente. Ce ne si rende conto quando, guardandosi alle spalle, si scorgono ricordi importanti; e questo vale per tutto, dagli amori agli amici, dalle esperienze insolite ai momenti difficili. “Il calcio – diceva Sartre – è la cosa più importante di quelle meno importanti“, e per chi di questo sport vive tutti i giorni, non solo praticandolo, ma anche commentandolo e osservandolo, non può che essere così. Il calcio, di cui tanto si parla (e non è un caso!), è un po’ un’unità di misura, una di quelle scale che servono a rendersi conto, nel proprio intimo, di quante emozioni si possano provare in poco tempo, di quanto si possa amare qualcuno o qualcosa, di quanto siamo in grado di rimanere basiti nel realizzare che anche ciò che reputiamo insignificante in realtà un significato può assumerlo.

ITALIA D’ORO – Quelli della mia generazione sono probabilmente gli ultimi ad aver avuto il privilegio di vivere nell’epoca calcistica del Mito. I tempi non ci permettono di fare previsioni rosee a riguardo e ci auguriamo che non sia così, ma i decenni che vanno dal 1990 al 2010 hanno visto le squadre italiane protagoniste nel mondo con una certa costanza, forse per l’ultima volta prima di una futura rinascita. In vent’anni sono maturate 8 Coppe Uefa, 7 Champions League, 3 Coppe delle Coppe, 8 Supercoppe Europee, 3 Coppe Intercontinentali, 2 Mondiali per Club e un Campionato mondiale per Nazionali: non un dominio assoluto, ma sicuramente una storia difficilmente ripercorribile, visto il periodo di austerity. Si, avete letto bene: austerity. La Serie A non è più il campionato più ricco di fenomeni, non è quello in cui su un campo Nedved fronteggia Batistuta e a 100 km di distanza Ronaldo se la vede con Zidane; no, l’Italia, per il momento, non vedrà più giocatori di questo calibro venire nel Bel Paese per confermarsi i più forti del momento per due motivi principali.

MONEY, GET AWAY – Innanzitutto il richiamo del dio denaro è troppo forte e purtroppo viene da altre regioni del mondo, non certo da qui. La famosa crisi economica che coinvolge il nostro Paese, a conferma di quanto detto prima, è un circolo vizioso e, con le sue ampie ma poco calorose braccia, cinge anche l’universo calcistico. I presidenti nostrani non possono più investire se non hanno un ritorno, e a causa e in conseguenza di ciò i risultati in campo europeo sono così di basso livello da non richiamare più l’attenzione dei pezzi da novanta. L’unica speranza in questo senso è che si possa ripartire con lo scoprire e il valorizzare quei piccoli talenti che, siamo sicuri, non smettono mai di nascere sui campi di gioco di tutta la penisola. E qui si incastra alla perfezione il secondo motivo di un’austerity probabilmente più etica che materiale, una ragione che ha anche a che fare con i ricordi e il sentirsi attempato.

BAMBINI CRESCIUTI – Se un ventiduenne di oggi, innamorato del pallone, si guardasse alle spalle, non potrebbe che vedere da un lato Cannavaro che alza la Coppa a Berlino, dall’altro Zanetti o Maldini (a seconda della fede calcistica) che sollevano la Champions,  Totti che si sfila la maglia dopo un gol nel derby o Del Piero che fa la linguaccia ai tifosi. Bandiere, bandiere, e ancora bandiere; e ricordi, magone, lacrime. Siamo cresciuti con questi campioni assoluti ed è per questo che soffriamo di un certo bipolarismo quando ripensiamo al calcio che fu: ci sentiamo un po’ bambini, ancora smaniosi di correre in cortile e imitare le prodezze del nostro beniamini, ma anche un po’ cresciuti, pronti a riconoscere che ormai gli anni sono passati e soprattutto che la scena è dominata non più da uomini prima che calciatori, ma da calciatori prima che uomini.

MANCANZA – Come dicevamo in apertura, il momento in cui ti accorgi che il tempo scorre senza pietà è quello in cui capisci che qualcosa ti mancherà: non è retorica, non è buonismo, ma crediamo sia la pura verità. Nonostante siamo interisti dobbiamo essere fieri di essere vissuti nell’epoca di Del Piero, di Totti, di Inzaghi, di Nesta, di Cannavaro, di Gattuso, come di Zanetti e Cordoba. Domenica si è chiuso per davvero un ciclo: un albero rigoglioso della nostra Serie A ha perso tante belle foglie, in attesa di quelle che saranno le ultime a cadere nei prossimi 2-3 anni. Proprio domenica pomeriggio è stato uno di quei momenti in cui ci rendiamo conto che, se dovessimo restare soli in una stanza con un pallone, basterebbe anche solo guardarlo per provare soddisfazione, per la montagna di sensazioni che ci rievoca. In fondo, come si è già detto, due cose sono vere nella vita: non si può vivere di progetti facendo a meno dei ricordi, ma allo stesso tempo una montagna di questi ultimi non potrà mai eguagliare una piccola speranza.