7 Febbraio 2012

PARTITE STORICHE: Inter-Benfica 1-0 1964/1965

Dopo la finale del 1964 (Inter-Real Madrid), quella di Coppa Intercontinentale del 1965 (Inter-Independiente) e la storica semifinale contro il Liverpool dello stesso anno, vogliamo chiudere il nostro mini-ciclo dedicato alla Grande Inter con un’altra grande finale, una partita epica per tanti motivi, che vale la seconda Coppa dei Campioni in due anni per la squadra di Herrera: stiamo parlando di Inter-Benfica.

Se c’è una cosa che non si può rimproverare a una squadra come la Grande Inter è di non aver battuto i più forti. Quando si vince tanto il gioco preferito di chi guarda dall’esterno diventa provare comunque a cercare dei punti di debolezza nella squadra in questione, quasi a voler lasciarsi aperto uno spiraglio, una speranza di non dover sottostare del tutto e per sempre. In realtà il calcio è fatto di cicli, e ogni ciclo ha un inizio e una fine: per tutta la sua durata, però, bisogna riconoscere la manifesta superiorità. Soprattutto se il team in questione ha battuto in campionato Juventus e Milan, rivali storiche, e in Europa ha conquistato due coppe trionfando in finale sulle due squadre più forti (forse) dell’epoca: Real Madrid e Benfica. Del Real abbiamo già parlato, una squadra fantastica, un po’ vecchiotta, i cui giocatori però brillavano di una classe cristallina: Di Stefano, Puskas, Gento e Amancio erano i fenomeni di quella compagine. Il Benfica invece, se si eccettua il suo fuoriclasse principe Eusebio, non disponeva di altre individualità di spicco e assomigliava molto di più alla squadra di Herrera.

L’AVVERSARIO – Quasi tutto il merito dell’exploit del Benfica di quegli anni (vincitore di 8 campionati su 10 negli anni ’60 e di due Coppe dei Campioni) era dell’ex coach ungherese Guttman. Tatticamente l’allenatore predicava un calcio collettivo basato su alcuni principi-cardine molto attuali, come l’alternanza tra marcatura in fase di non-possesso e smarcamento in quella di possesso; tipicamente guttmaniano era anche il respiro d’impostazione, con passaggi lunghi se si era lontani dalla porta e finalizzati a prendere campo e passaggi più brevi (“passa-ripassa-tira“) quando si era in prossimità dell’area di rigore con lo scopo di infilare la retroguardia avversaria. Anche nel modulo Guttman fu un innovatore: il 4-2-4 che aveva esportato nella sua esperienza brasiliana degli anni ’50 al San Paolo (i verdeoro, dopo di lui, vinsero 3 mondiali con questo schema) era una cerniera collettiva volta a scompigliare e a scardinare la disposizione tattica avversaria. Certamente questo fu reso possibile dalla fiducia che la squadra riponeva in lui e nei suoi dettami: la presenza, accanto al centravanti Aguas, di un secondo uomo-gol quale Eusébio convince il tecnico a insistere sui frequenti ripiegamenti delle ali: a destra José Augusto diventa un centrocampista aggiunto, mentre a sinistra Simoes, con le volate sulla fascia e i cross dal fondo, è il principale rifinitore. Le chiavi del gioco le hanno i registi difensivi Coluna e Germano, e i due centrali, Cavem e Cruz, giocano esclusivamente a protezione dei terzini João e Angelo e del grande portiere Costa Pereira. Il Benfica, nonostante avesse cambiato allenatore, non aveva cambiato il modo di giocare.

IL CAMMINO – L’Inter, vincitrice della Coppa l’anno precedente, arriva alla finale di Milano dopo essere partita di diritto dagli ottavi di finale. Il primo avversario dei nerazzurri è la squadra rumena della Dinamo Bucarest, sepolta 6-0 a Milano e sconfitta di misura (1-0) in trasferta. Ai quarti gli ostici scozzesi del Rangers Glasgow, che perdono 3-2 a San Siro e non riescono a rimontare in casa loro. La semifinale è lo storico doppio confronto col Liverpool: finisce 3-1 in Inghilterra per i reds e 3-0 per i nerazzurri a San Siro. Così l’Inter arriva in finale, il 27 maggio del 1965, contro il Benfica che ha eliminato in serie l’Aris Bonnevoie, l’FC La Chaux-de-Fonds, il Real Madrid e il Vasas.

L’ANTEFATTO – 24 ore prima dell’incontro un temporale s’era scatenato su Milano, un temporale cessato e poi ricominciato con inaudita violenza alle ore 18.00 del giorno della partita. Mezz’ora prima dell’inizio, con San Siro che ormai è ridotto a una tela di ombrelli con qualche zona vuota, il signor Dienst scende sul terreno per una ricognizione, accompagnato da una ventina di fotografi. Lo avevano preceduto un’ora prima Herrera e Schwartz: si dice che l’allenatore dell’Inter in nottata abbia telefonato ad Allodi dicendogli di fare coprire subito il campo con i teloni. Non si sa se l’ordine del colonnello Herrera sia stato poi eseguito. In una intervista di qualche ora prima del match il tecnico argentino disse: “Noi siamo veloci, loro no. Se il terreno è pesante, noi non saremo più veloci e loro conserveranno il loro passo. Non bisogna mettersi sul loro piano…!“. In effetti vaste zone del terreno di gioco sono ridotte ad un acquitrino, ed è un peccato, perchè una partita del genere meriterebbe di essere giocata in condizioni ideali; così, viceversa, aumentano le possibilità di interventi fortuiti che possono influire sulla effettiva sostanza del gioco.

PRIMO TEMPO – Alle 21,25 le squadre sono regolarmente in campo, accolte da un fragore quale mai udito in uno stadio italiano. Si chiudono gli ombrelli degli 80mila tifosi e si effettua il sorteggio: l’Inter vince il campo e sarà il Benfica a battere il calcio d’inizio. Sono le 21.30 e con regolarità svizzera il sig. Dienst fischia l’inizio. Il Benfica gioca una partita decisamente intelligente, da squadra di grossa esperienza internazionale. L’Inter non riesce a sfondare, nonostante abbia comunque il pallino del gioco in mano. Anzi alla fine del primo tempo è proprio il Benfica a impensierire gli avversari, anche a causa dell’aggravarsi delle condizioni atmosferiche. Ma ecco al 42′ la svolta imprevedibile: riprende l’iniziativa l’Inter, Corso – cadendo – riesce a far giungere ugualmente la palla a Mazzola il quale allarga subito sulla destra a Jair. Il brasiliano fa due passi e poi tira proprio nell’angolo dove è piazzato Costa Pereira: una conclusione non irresistibile, una palla innocua, la cosiddetta “telefonata”. Ma il vecchio portiere se la lascia sgusciare fra le gambe e vana è la rincorsa di Germano quando la sfera ha oltrepassato la linea bianca. E’ un premio per l’Inter, niente affatto immeritato, poichè la squadra di Herrera si è battuta con tutti i sentimenti, dominando la prima mezz’ora.

SECONDO TEMPO – Nel secondo tempo sull’Inter grava ancora l’handicap del rettangolo di gioco che si è trasformato in un laghetto. Peirò, Mazzola e Jair sono le maggiori vittime delle condizioni ambientali, ma producono comunque un’importante mole di gioco, senza riuscire a concludere e a finalizzare. Ovviamente nell’ultimo quarto d’ora la fatica si fa sentire, la squadra si allunga e i reparti sembrano smembrati. Gli stessi tifosi si dividono in chi incita i propri beniamini in difficoltà e che fischia perennemente durante le azioni della squadra avversaria. Ma fortunatamente il Benfica non riuscirà a violare la porta di Sarti: l’Inter resisterà fino al termine e conquisterà per la seconda volta la Coppa dei Campioni.

INTER-BENFICA 1-0 (1-0) MARCATORI: 42′ Jair INTER (4-4-2): Sarti Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola S., Peirò, Suarez, Corso. Allenatore: Helenio Herrera BENFICA (4-2-4): Costa Pereira, Cavem, Cruz, Neto, Germano, Raul, Josè Augusto, Eusebio, Torres, Coluna, Simoes. Allenatore: Elek Schwartz ARBITRO: Gottfried Dienst (Svizzera)

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