14 Novembre 2017

Italia, è tempo di modernizzarsi: spazio alle squadre B come in Germania! Nel 2014 Albertini…

La mancata qualificazione ai mondiali ha riaperto una grossa discussione: è giunto finalmente il momento di adattarsi ai tempi che corrono?

C’era chi lo dipingeva come uno scenario apocalittico e chi invece ad un Mondiale senza Italia, semplicemente, non ci voleva proprio pensare. Eppure il pareggio a reti inviolate di ieri sera spinge la Svezia verso Russia 2018 e condanna il popolo azzurro a vivere una personalissima Waterloo 2.0: l’incubo è diventato realtà. Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e perdono partite di calcio come se fossero guerre, disse Churchill molto tempo fa. E nonostante tutti gli anni che sono passati, questa frase sembra oggi più che mai d’attualità. Ma l’Italia non si deve fermare, e come successe alla Germania non più tardi di 17 anni fa, deve riprogrammare il futuro con decisioni chiari e soprattutto coraggiose.

Per fare questo, innanzitutto occorre sfatare il mito dei “troppi stranieri presenti nelle nostre squadre”. Un pretesto nato in campo politico e che al calcio serve ben poco. Basterebbe prendere in esame i dati relativi alle percentuali di stranieri nei maggiori 5 campionati europei divulgati da Transfermarkt: la Premier League si presenta con il 67%, la Bundesliga che funge inevitabilmente da culla culturale del successo della propria Nazionale ne ha il 55.9%. La Serie A si piazza al terzo posto con il 54.5%, mentre chiudono la classifica la Ligue 1 (52.4%) e la Liga spagnola (42.6%). Il problema è dunque un altro, e Demetrio Albertini durante la battaglia datata 2014 con Tavecchio per assicurasi la presidenza della FIGC, sembrava aver fatto centro: dare maggior peso ai giovani e permettergli di vivere esperienze formative anche attraverso le squadre B. Pensiero di un visionario, obiettò qualcuno. Eppure oggi come allora, l’Italia che guarda al futuro si accorge di essere rimasta indietro anni luce rispetto alle concorrenti.

IL MODELLO TEDESCO – La bomba in terra tedesca esplode nel 2000: l’Europeo mette in ridicolo l’intera selezione di Erich Ribbeck, che esce ai gironi totalizzando un solo punto ed occupando l’ultimo posto di un girone formato da Inghilterra, Romania Portogallo. La DFL, equivalente della nostra FIGC, lascia alle spalle il passato e decide di conquistarsi il proprio futuro con 4 mosse: imporre ad ogni squadra di Bundesliga a Bundesliga 2 l’esistenza di una formazione per ogni categoria a partire dall’under 12; obbligo di avere almeno 12 giocatori convocabili nella Nazionale di categoria a partire dall’U16; l’istituzione di un fondo comune che agevoli le formazioni meno potenti economicamente a poter puntare su giovani promettenti ed infine il donare un ruolo fondamentale alle formazioni B. Queste squadre sono inserite nel mondo dei calciatori professionisti, ma non possono andare oltre alla 3.Bundesliga, ovvero la nostra LegaPro oltre all’impossibilità di accedere alla Coppa Nazionale. Ma lo stretto legame con la loro “prima squadra” è sempre molto forte: i movimenti da squadra B e squadra A sono sempre possibili, anche quando il mercato non è aperto. I costi di mantenimento sono relativamente bassi perché i giocatori sottoscrivono un contratto giovanile o semi-professionistico (molto meno onerosi di quelli standard), mentre l’affluenza di pubblico alle partite di queste squadre è tutto sommato buona, con picchi di anche 20.000 persone. Ma l’importanza delle squadre B si capisce leggendo i dati dei tedeschi provenienti da esse presenti nella Nazionale campione del mondo nel 2014: 17 dei 23 calciatori hanno fatto il loro ingresso nel calcio che conta attraverso la nuova formazione calcistica adottata dal 2001 in poi, sintomo che la possibilità di confrontarsi con giocatori già formati possa rivelarsi fondamentale per la maturità calcistica dei giocatori, per quanto essi possano essere giovani. E tra loro figurano anche Ozil e Boateng, entrambi campionissimi ed entrambi con un pizzico di DNA “straniero” nel sangue.

L’Italia non rimanga a guardare e faccia di necessità virtù: il momento per rivoluzionare un sistema ormai obsoleto è giunto, e gli italiani ad un Mondiale senza Azzurri non vogliono più assistere.

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