1 Ottobre 2016

Condò: “Ecco come nacque la rivalità tra Mourinho e Guardiola! All’Inter c’è ancora poco equilibrio”

Intervenuto al Foggia Festival Sport Story, il noto giornalista sportivo ha presentato la sua ultima fatica letteraria sul "duello" tra i due tecnici.

Tra gli ospiti di punta del Foggia Festival Sport Story c’è stato sicuramente Paolo Condò: l’ex giornalista de La Gazzetta dello Sport e ora a Sky, è intervenuto ieri pomeriggio per presentare il suo nuovo libro “Duellanti“, titolo mutuato dal racconto di Joseph Conrad che porta questo nome. I protagonisti, però, non sono due ufficiali napoleonici, ma due allenatori – e a questo punto definirli così ci sembra riduttivo – che negli ultimi dieci anni hanno dato vita a una rivalità con pochi precedenti nella storia dello sport: Guardiola e Mourinho, dopo un passato che li ha visti lavorare a stretto contatto a Barcellona, sono diventati l’emblema di due modi diversi di intendere la sportività, la comunicazione e gli aspetti più tecnici del gioco del calcio. Di seguito vi riportiamo le dichiarazioni di Condò, che non ha lesinato infine un commento anche sul calcio di oggi e sull’attuale Serie A.

A CHI SI SENTE PIU’ VICINO? – “Personalmente a Guardiola, per il suo concetto di sportività che è anche il mio. Però con questo non voglio dire che Mourinho non sia un grande, perché per lui ho grande ammirazione. Se posso fare un parallelo è come quando i Rolling Stones cantavano “Sympathy for the devil”: lui è astuto, tentatore e affascinante come il diavolo di cui cantavano loro. Io però in generale mi innamoro del livello delle persone ed entrambi sono di un livello assoluto. Per me è stato un privilegio, lo stesso privilegio, andare a pranzo con Guardiola o stare in una stanza con Mourinho per intervistarlo“.

COME GIUDICA I MODI DEI DUE DUELLANTI? – “Alla fine i due modi di affrontare le varie circostanze possono anche scoprirsi complementari. È infatti un duello perfetto: come il duello tra i due ufficiali napoleonici da cui è tratto il titolo del libro è di pura estetica, è estetico anche il duello tra Mourinho e Guardiola. È come quando si corteggia una bella donna senza avere mire particolari: il corteggiamento ti crea endorfine, perché è il duello stesso il senso del duello. Sono due uomini che cercano sempre di essere i migliori. Un altro esempio calzante è il duello, anche se meno enfatizzato, tra Cristiano Ronaldo e Messi: l’attaccante del Barcellona per me è superiore, ma Ronaldo non ha mai detto “Ok, io sono il numero 2”. Lui lavora comunque per essere il numero 1. E così anche tra Mourinho e Guardiola“.

COME E’ NATA QUESTA RIVALITA’? – “Secondo me e secondo molti giornalisti, risale al 2008, quando Rijkaard lasciò il Barcellona e la società si trovò a scegliere tra Guardiola e Mou. A quel punto, quando si stava per puntare sul portoghese, intervenne Cruijff, che fu determinante poi per la scelta di Guardiola. Negli stessi anni in cui quest’ultimo era capitano, Mou era stato assistente di Robson, di cui era il traduttore, e Van Gaal: così per lui diventare allenatore del Barcellona sarebbe stato come per un guardiano diventare proprietario del castello per cui faceva la guardia. Mou è rimasto ferito da questo. Crujff poi su un quotidiano spagnolo scrisse che “Mourinho è un allenatore di titoli e non di calcio”. E dopo questo episodio Mourinho è sguazzato in quella definizione, rivendicando questo modo di essere ed andandone fiero. Qui nasce la contrapposizione tra Mourinho e il Barcellona prima e tra Mourinho e Guardiola poi“.

UN ANEDDOTO? – “Dato che li ho incontrati più volte e li conosco quasi personalmente, ho spedito il mio libro sia a Mourinho che a Guardiola tramite i loro collaboratori. Quando ho contattato quello di Guardiola, Manuel Estiarte, per farmi dare un recapito, lui non sapeva nulla del progetto e, entusiasta, mi ha chiesto l’argomento. Dopo avergli spiegato che avevo scelto di descrivere il periodo delle quattro famose partite della primavera del 2011 c’è stato un lungo silenzio al telefono. Poi è intervenuto per dire: “Quelle quattro partite dovrebbero essere dimenticate, non raccontate”“.

QUANTA STRATEGIA C’E’ NELLA COMUNICAZIONE OGGI? – “La comunicazione è fondamentale sempre, in ogni aspetto della vita. Mou l’ha capito subito e Guardiola gli è andato dietro alla sua maniera. I grandi allenatori prima di ogni conferenza stampa importante fanno una prova con un loro collaboratore e simulano le domande più difficili. Tanto che i “ruspanti” sono sempre meno e gli “studiati” sempre di più. Ma secondo me questo è anche un dovere da parte di un allenatore, perché bisogna sapersi esprimere e saper parare i colpi. Io non rimpiango il calcio di una volta con il suo galateo. A me piace il confronto dialettico che c’è oggi perché è sinonimo anche di professionalità tra gli allenatori. Per esempio in Sarri c’è molto di studiato. Il fatto di voler sembrare quello di una volta è secondo me qualcosa di molto preparato e studiato, perché poi i giornalisti dopo apprezzeranno il suo voler apparire old-fashion. Ma in realtà Sarri è troppo scienziato – e lo dimostra il modo in cui il Napoli gioca – per essere realmente vecchio stile“.

COME E’ CAMBIATO IL SUO LAVORO DALLA CARTA STAMPATA ALLA TV? – “La prima cosa da dire è che io sono un privilegiato perché ho vissuto gli anni d’oro (in riferimento a fine anni ’80 e inizio anni ’90, ndr). A quei tempi le imprese editoriali avevano i soldi per mandarti in giro per il mondo, e girando il mondo si impara tanto. Per esempio, un anno e mezzo fa – quando l’ho lasciata – La Gazzetta dello Sport mandava in trasferta un quarto dei giornalisti che mandava 25 anni fa. Comunque era ed è il top, motivo per cui ringrazio anche Sky, perché l’anno scorso mi ha fatto questa proposta per cambiare il mio ruolo senza scendere di livello: cambiare lavoro a questa età, tra l’altro, dà molta adrenalina. Nel confronto in diretta con gli allenatori bisogna essere molto preparati, perché non ti perdonano niente. Purtroppo non vado più fuori sede, ma l’esperienza dello studio in diretta è diventata superiore rispetto a prima. L’importante, comunque, è fare tutto sempre al top e non scendere di livello“.

NAPOLI O JUVE? – “Il Napoli può competere, anche se dire che può vincere non vuol dire che vincerà. La Juve ha comprato il più forte, ma l’ha pagato e ha finanziato una grande campagna acquisti per il Napoli. In più Sarri ha cambiato il gioco dei suoi rispetto alla scorsa stagione. Se si dice che il Napoli è più forte nella rosa ma meno forte negli undici, io non so se sono d’accordo. Quest’anno ha accentrato i due attaccanti esterni e ha creato degli spazi nuovi per Hamsik, e anche come quantità di gol segnati siamo là. Dal punto di vista del gioco il Napoli sta seguendo una falsariga più europea, come dimostra il fatto che giocano a quattro dietro, mentre la juve gioca ancora a tre. I bianconeri, però, sono più solidi e la difesa è una riscoperta della tradizione italiana, che va vissuta non come una vergogna ma come una ricchezza. E poi ha Dybala, che secondo me potrebbe arrivare a dei vertici sconosciuti. Sarò curioso di vedere come procede l’intesa con Higuain, cosa non scontata, dato che Dybala si è messo più a disposizione. Quando l’ho visto duettare con Dani Alves nella prima partita, ho pensato che Dani Alves avesse riconosciuto il suo talento superiore, come al Barcellona riconosceva il talento di Messi. Spero solo che la Juventus lo tenga più tempo in Italia rispetto a Pogba“.

VACCINI E… RICHIAMI – “Ero presente quando il Foggia vinse 2-0 contro la Juventus nel 1994, e quella fu la partita in cui nacque la prima Juve di Lippi. Quel giorno non videro palla e di conseguenza Lippi fece capire alla sua squadra che si doveva alzare il livello, e anche di molto. Foggia, come anche altre piazze, è stato un laboratorio. Sono venuto qui al ritorno di Zeman a vedere la squadra in cui giocavano Insigne e Sau giovanissimi. E devo dire che nello sport funziona un po’ come con i vaccini: fai le iniezioni quando nasci e successivamente poi devi fare solo i richiami. Foggia ha bisogno solo dei richiami. Come con De Zerbi (che ora allena il Palermo, ndr), che faceva un calcio divertente, e come con Stroppa (attuale allenatore dei rossoneri, ndr), di cui conosco la scuola fatta con Sacchi e lo stesso Zeman, due uomini sempre attenti alle esigenze degli spettatori. Ci sono luoghi magici calcisticamente, e Foggia è un luogo magico, come Trieste lo è per il basket. Ci tornerò quando tornerete in Serie A“.

E SULL’INTER? – Infine, intercettato brevemente dietro le quinte, Paolo Condò ha gentilmente risposto anche a una domanda di Passioneinter.com sulla stagione dell’Inter e sulle sue aspettative per la squadra di De Boer: “Sull’Inter direi di aspettare ancora un po’, perché ci sono ancora troppi alti e bassi, anche comportamentali. Però penso che quest’anno il terzo posto sia assolutamente raggiungibile. Quel che è certo è che daranno tempo a De Boer di lavorare, senza dubbio“.

GABIGOL UBRIACA I COMPAGNI IN ALLENAMENTO

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