10 Ottobre 2016

La pazienza del Jardinero: tanti auguri Julio Cruz!

Nel giorno del suo 42esimo compleanno, ripercorriamo la storia del 'Jardinero' dai primi passi in argentina ai gol alla Juventus

Per essere un buon giardiniere è necessario avere pazienza. Tagliare una siepe, sistemare un prato o curare dei fiori non sono esercizi che richiedono poco tempo, ma una volta concluso il lavoro, il risultato può solo dare soddisfazioni. Nemmeno aspettare il proprio turno avvolto in un gonfio piumino sulla panchina dell’Inter è affare che richiede pazienza, soprattutto se su quella panchina ci si deve rimanere per circa tre quarti di partita, ma se a farlo è un giardiniere, il risultato può solo dare soddisfazioni.

Questo copione si è ripetuto un numero infinito di volte a San Siro dal 2003 al 2009, quando un longilineo giardiniere con la faccia da indio occupava pigramente il proprio posto in panchina, veniva invitato ad alzarsi dall’allenatore di turno e scendeva in campo, con l’unico obiettivo di far propria la partita. Quel giardiniere, Julio Ricardo Cruz, non portava con sé le cesoie, ma tagliava le difese avversarie con movimenti perfetti, trascinava con leggerezza la sua snella figura ovunque ci fosse un pallone libero e rifiniva in rete. In loop per 75 volte, come le reti messe a segno in uno dei periodi più vincenti della storia dell’Inter. Oggi Julio Cruz compie 42 anni, ormai distante sei anni da una carriera che gli ha regalato grandi gioie.

La sua storia inizia in Argentina, la patria che lo ha visto calciare i primi palloni sulla terra polverosa di Santiago del Estero, città sulle rive del Rio Dulce che si vanta di essere la più antica del Paese. Del giardiniere, ancora, non aveva la pazienza, ma presto si guadagnò la nomea: nei primi tempi al Banfield, prima di entrare nella “cuarta division” del club, si divertiva a salire sui piccoli trattori che utilizzavano i custodi per tagliare l’erba. Un giorno lo vide un dirigente del Taladro e gli chiese se avesse potuto dare una spuntatina al campo prima dell’allenamento della prima squadra. Lui accettò, ligio al dovere come al solito, sicuramente inconsapevole del fatto che da quel momento in avanti sarebbe diventato per tutti “el Jardinero”. Presto arrivarono le prime maglie da titolare nel massimo campionato argentino, seguite dalle prime reti: se lo portò via il River Plate, che lo inserì in una rosa di leggende del club e gli fece vincere due titoli nazionali di fila. 18 reti in 32 partite giocate con la maglia della Banda fecero svegliare l’Europa: il Feyenoord si mise sulle sue tracce e nel 1997 gli infilò la larga casacca bianco-rossa del cosiddetto ”orgoglio del Sud”. Orgoglio del Sud dell’Olanda, dove sorge Rotterdam, ma anche orgoglio dei tifosi dell’Inter, perché nella fase a gironi della Coppa dei Campioni, stese da solo la Juventus con una doppietta. Primo colpo di un tormento perenne che durerà fino al 2009. Dopo cinquanta reti, distribuite equamente in tre stagioni, il Bologna si accorse di lui e decise di portarlo in Italia: ennesimo step di un attaccante sempre più quotato. Altri tre anni e poi l’Inter, la squadra dove rimarrà per più tempo in carriera.

Con la maglia nerazzurra dovette reinventarsi: dopo tanti anni da punta titolare in squadre di livello più o meno buono, una big gli aveva riservato un posticino in un parco attaccanti storicamente nutrito. “La pazienza” dirà lo stesso Cruz “la si impara con gli anni”. Detto fatto. Vieri, Martins, Ibrahimovic, Adriano, Crespo, Recoba e Suazo sono i nomi dei tanti attaccanti con cui ha dovuto condividere il reparto o contendere il posto, spesso rimanendo costretto a un ruolo da comprimario. Paziente nelle gerarchie, ma spietato con il pallone tra i piedi, perché quando veniva mandato in campo, con pochi minuti a disposizione e l’adrenalina a mille per risolvere una partita, Cruz puntava le lunghe leve e faceva il proprio dovere. 75 reti in sei anni di Inter e la fama di risolutore, seconda solo a quella di giustiziere della Juventus. Il discorso iniziato con il Feyenoord e proseguito con il Bologna diventò un cliché della storia moderna dell’Inter, quasi mistico: nel 2003 i nerazzurri non vincevano a Torino da dieci anni e si presentarono al Delle Alpi con questa maledizione sulle spalle. Cruz battè due volte Buffon, di cui una con una punizione perfetta. Vinse l’Inter 3-1 e da quella volta il gol del Jardinero diventò una tassa fissa per i bianconeri. Gli ultimi li segnò nella stagione 2007-08, la sua penultima con la maglia nerazzurra, che lasciò nel 2009, appena prima del Triplete. A trentacinque anni, dopo quattro scudetti vinti, non gli sembrava giusto continuare con la consapevolezza che Mourinho non gli avrebbe dato spazio. Paradossalmente, con un pizzico ulteriore di pazienza, avrebbe potuto vincere anche la Champions League, ma probabilmente non si sentiva in vena di attendere un’occasione a partita in corso che sarebbe potuta non arrivare mai. Chiuse la carriera alla Lazio, dove segnò quattro reti e appese gli scarpini al chiodo senza rimpianti, con la consapevolezza che, all’Inter, l’uomo dei gol importanti era e sarà sempre “El Jardinero” Julio Ricardo Cruz.

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