22 Luglio 2017

Sabatini: “Club italiani non possono prendere top player mondiali”

Il coordinatore tecnico di Suning ha espresso la sua opinione sul calciomercato in Italia

In una lunga intervista al Corriere dello Sport, il coordinatore di Suning Sports, Walter Sabatini, attualmente impegnato col mercato dell’Inter (qui la prima parte delle dichiarazioni), si è soffermato sul calciomercato italiano e sul suo passato da calciatore.

C’è un top player del calcio mondiale che lei pensa possa venire in Italia?
«No».

Perché?
«Nessuna società italiana ha la forza di farlo. Noi dobbiamo lavorare su altro livello, su un secondo mercato e individuare il talento prima. Una volta affermato e conclamato, non viene più. E’ così».

Qual è il male del calcio italiano?
«Dovrei dire una cosa antipatica. Nel calcio italiano albergano troppe persone. E’ una sorta di caravanserraglio in cui tutti cercano il loro strapuntino. Approfittando di un sistema informativo drogato, molte persone sgomitano senza titolo per ritagliarsi un ruolo. Aggiunga che una volta c’era Brera, il raccontatore di storie, il calcio diventava anche letteratura godibile. Oggi le telecamere frugano da tutte le parti, e l’informazione non diventa più racconto ma opinione cangiante perché tutti hanno la loro, tutti la urlano. E’ un calcio, come la società, emotivo…».

Lei è stato un giocatore tanto forte quanto sfortunato, ha avuto molti incidenti…
«E stupido, anche».

Perché stupido?
«Ero un genio calcistico ma non capivo il calcio. Avevo qualità tecniche e velocità ma non capivo il calcio. Ho giocato il calcio della piazzetta per tutta la vita. Il calcio della piazzetta è fondamentale però a un certo punto si abbandona, io invece l’ho lasciato a ventinove anni. Sono stato un calciatore della piazzetta fino a quando non ho capito quanto fossi ridicolo e ho fatto la scelta più giusta della mia vita, smettere a ventinove anni e fare qualcos’altro. Ho preferito essere un dirigente giovane che un calciatore vecchio».

Come ricorda il giorno di Renato Curi?
«Non è passato un solo giorno in cui non ho dedicato un pensiero a Renato Curi. E’ stata, nella mia vita, la tragedia più grande. Vedere stramazzare un tuo compagno di squadra in campo, non rialzarsi, è terribile. Ho capito subito che sarebbe morto e ancora oggi sento un senso di ribellione verso questa cosa. Renato Curi era un giocatore fantastico e, anche se più grande, era il mio fratello più piccolo, perché era più basso. Lui si preoccupava perché ero sempre infortunato e un giorno mi regalò un numero tredici d’oro dicendo: “Tu hai bisogno di questo regalo, perché hai bisogno di fortuna”. La settimana dopo la fortuna ha abbandonato lui. E’ morto in un campo di calcio. Sua figlia si è sposata qualche giorno fa, non sono potuto andare perché ero in Cina e ho sofferto molto. Ho deciso però che, dopo quaranta anni, consegnerò a lei questo numero tredici d’oro. E’ giusto che l’abbia Sabina Curi».

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