27 Giugno 2019

Anni di fatica e botte. Un interista all’Inter: bentornato Lele Oriali!

Dalla marcatura su Cruijff alla Champions finalmente conquistata: quella di Lele Oriali è una vita da mediano e da interista
intervista oriali

“Una vita da mediano, lavorando come Oriali, anni di fatica e botte e vinci casomai i Mondiali”. I versi di Luciano Ligabue spiegano perfettamente quello che Gabriele Oriali è stato nell’arco della sua intera carriera, sia da calciatore che da dirigente: intelligenza calcistica, voglia di emergere, abnegazione, lavoro duro e, soprattutto, tanta tanta corsa, al punto che anche il suo compagno di squadra Evaristo Beccalossi, che ne era l’antitesi in campo, affermò “Un giorno vorrei reincarnarmi in Oriali, almeno per sapere cosa si prova a correre così tanto”.

UNA VITA DA… INTERISTA – Una vita da mediano, quella di Oriali, ma non solo. Quella del Piper, così veniva soprannominato ai tempi in cui calcava i campi da gioco, è anche una vita da interista, sia sul prato verde che dietro una scrivania. Le parentesi con Fiorentina e Parma, infatti, non possono essere equiparate al grande amore nerazzurro, supportato, inseguito, mai nascosto nell’arco di interi decenni. 398 partite, 44 gol in 13 annate, a cui aggiungere il decennio d’oro da dirigente. Il suo ritorno potrebbe essere inteso come un premio alla carriera, come la ciliegina sulla torta, invece Oriali ha già fatto capire di voler lavorare per risollevare, insieme a tutto il nuovo staff, le sorti dell’Inter. Non c’è tempo per gli elogi, adesso bisogna correre.  Come domani, come ieri, come sempre.

ANNI DI FATICA E “COPPE”– Fatica e  botte, sudore e dolori, ma questi sono anche gli ingredienti del successo: con due presenze si laurea campione d’Italia nel 1970/71, nella stagione del capolavoro di Invernizzi, mentre è uno dei protagonisti principali della cavalcata del 1979/80, con il sergente Bersellini. In mezzo anche due Coppe Italia e quella maledetta finale di Coppa dei Campioni, quando ce la mise tutta, da ragazzino, per provare a marcare Johan Cruijff all’apice della sua carriera. Il fantasista olandese portò la coppa in casa Ajax, la seconda della storia del club di Amsterdam, ma chissà come sarebbero andate le cose se il duello si fosse inscenato qualche anno più tardi. Resta un elogio fatto dallo stesso Cruijff, uno che nella vita ha vinto tutto. Tranne i Mondiali.

LA MAGIA DEL BERNABEU – Non ha mai portato la Coppa del Mondo agli Orange Johan Cruijff, mentre Oriali si è tolto la grandissima soddisfazione con la casacca azzurra: nel 1982 la nazionale di Enzo Bearzot ha una partenza diesel, ma poi rialza la cresta, batte l’Argentina di Maradona, il Brasile di Zico, la Polonia di Boniek e la Germania di Rummenigge e si laurea campione del Mondo al Santiago Bernabeu di Madrid.

Già, il Santiago Bernabeu, il teatro dei sogni per uno come Oriali, che proprio in quello stadio ha anche “disputato”, da dirigente, la sua ultima partita, fino a oggi, con l’Inter. Con lo stesso epilogo gioioso, con le stesse lacrime, con la stessa corsa e il dito puntato al cielo, alzando ancora un’altra coppa.

Perché dopo l’addio da calciatore Oriali è tornato in casa nerazzurra, ha vissuto il 5 maggio, l’euroderby. E poi le annate d’oro, fino al Bernabeu. Perché anche da dirigente si corre, e le sconfitte dei primi anni erano la fatica e le botte, prima di raggiungere l’apice. Perché si può indossare una giacca e una cravatta, ma in realtà porti sempre i tuoi calzoncini pronto a vivere la tua vita da mediano; anche da dirigente si può vivere una vita da mediano: anni di trattative e comunicazioni. E vinci, casomai, la Coppa dei Campioni.

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