10 Febbraio 2017

EDITORIALE- La differenza tra una squadra di nobili e una di signori

Mentre c'è chi si imbarazza, Marotta, e definisce i rivali "abituati ad esser perdenti", Elkann, c'è chi risponde sul campo con una squadra viva. Sul mercato con un talento come Muriel in pugno e alla Pinetina arriva un Agnelli in nerazzurro.

La grande differenza tra nobiltà ed essere un signore passa tutta attraverso la classe del linguaggio più che dal vestito che indossa. Nella calda settimana post Juventus Inter ogni dettaglio sembra andare al suo posto, con la naturalezza degna di chi non deve fare altro che aspettare, aiutando ancora di più a cementificare un gruppo. Perché solo un club con la storia dell’Inter, per usare le parole del comunicato della società nerazzurra, può fare di una sconfitta una svolta a livello di squadra. Nel frattempo i nobili d’Italia che gestiscono la Vecchia Signora di Torino scivolano su una buccia di banana messa da loro stessi. E le parole chiave che riassumono tutto l’intero discorso possono essere anche solo tre: saggezza, sagacia, onore.

SAGGEZZA – Inizia tutto dal sacrosanto diritto di pretendere di giocarsi una partita come quella di domenica scorsa facendo in modo che a parlare sia il campo, con le sue giocate, la tattica, le opportunità. E il risultato, sia chiaro, potrebbe essere anche lo stesso del tabellino ormai inserito negli almanacchi, ma non così. Non che la rabbia del tifo interista debba passare come alibi, questo non fa onore alla gara vista. E di parole ne sono state dette davvero tante. In questo la prima dichiarazione cardine è quella di Stefano Pioli, a caldo, nel dopogara. <Partite come queste si decidono con gli episodi. E noi quegli episodi li abbiamo creati, ma non abbiamo avuto modo di portarli fino in fondo per decisioni arbitrali che ci hanno condizionati>. Il discorso si trascina: si parla dei rigori, della simulazione, anche della grossolana lettura di un calcio di punizione di Chiellini, quel retropassaggio a Buffon nella ripresa, intercettato da Icardi pronto ad andare solo davanti a Buffon e fermato non da Bonucci e da nessuno dei giocatori in bianconero: ma da Rizzoli. L’Inter tace. Ha parlato l’allenatore, ha parlato il tifo, ne parla la stampa, ma senza virgolettati. Lascia trasparire fastidio, ma non parla. Dice solo che presenterà ricorso, non per eliminare la squalifica a Icardi e Perisic, ma per abbassarne la sanzione. Riconosce la decisione dell’arbitro, sportiva, meno le conseguenze di un comportamento di cui il direttore di gara è comunque, almeno psicologicamente, un pizzico, istigatore. C’è saggezza anche nelle parole di Massimo Moratti, quelle in risposta a un Marotta che dal nulla si sente chiamato in causa. Forse ingenuamente risponde alla domanda di un giornalista, senza forse, sicuramente risponde. E lo fa in un modo che il linguaggio popolare definirebbe, “da coda di paglia”. <Mi sento imbarazzato. In Italia dovremmo allenare giocatori, allenatori e dirigenti a una cultura della sconfitta che non esiste. In Italia esiste la cultura della polemica contro l’arbitro>. Noi di passioneinter già abbiamo sottolineato la scarsa coerenza di questa dichiarazione e per un veloce approfondimento, basta un clic. Non c’è saggezza in una finta superiorità figlia di una spocchia che nessuno ti ha chiesto di imporre. E l’Inter tace, o meglio, osserva.

SAGACIA – Si perché in tutto questo la società ha preso le difese dei suoi giocatori. Ha sottolineato il grande spirito di squadra, è tornata in campo ad allenarsi come se a Torino i tre punti fossero stati nostri. Perché <il percorso è quello giusto>, per usare altre parole di Pioli. Parole che pesano, almeno quanto quelle di un altro nobile, che pecca in signorilità: John Elkann. <È stupefacente la capacità dell’Inter di non saper perdere, nonostante dovrebbe averne l’abitudine. La cosa importante è comprendere bene quello che succede in campo e riconoscere la sportività che la Juve ha sempre dimostrato di avere>. La sportività di un Chiellini che cade spinto dallo spirito del Natale precedente. Ma questo lo dico io. L’Inter tace, ancora per poco. È come se avesse aspettato la sua preda in trappola e una volta pronta, ha agito, con quella spontaneità degna della signorilità che può esistere anche se non sei un nobile. Sono le 19.04 del 9 febbraio e l’Inter pubblica, sul suo sito il comunicato ufficiale con cui sottolinea lo stupore nel leggere i riferimenti <della Juventus Fc all’Inter, mentre la nostra attenzione non è mai stata su di loro>. Il verdetto del campo è 1-0, con questa frase siamo 1-1, ma non è finita qui. <Il fatto che ci sia così grande attenzione attorno all’Inter è evidentemente la conferma dell’importanza del Club>, vantaggio nerazzurro con un retrogusto di rumore dei nemici che manda in visibilio il tifo. Ma perché accontentarsi di vincere, quando si può stravincere. <Ognuno ha la propria storia, noi abbiamo la nostra e ne siamo orgogliosi>. Terzo gol. Sia chiaro, il valore è morale, ma l’orgoglio di essere interista è elevato, almeno quanto dovrebbe esserlo l’imbarazzo nell’essere juventino nel leggerlo. L’orario è messo non a caso. È l’orario in cui tutti lo possono leggere, finito il lavoro, è il momento in cui una redazione sportiva di un quotidiano può stravolgere la prima pagina e ha il tempo di farlo. È l’orario in cui non farà in tempo ad arrivare una contro risposta. È il contropiede che spiazza. E mentre il comunicato è per tutti, il colpo da maestro è destinato a chi, verso i nerazzurri ha avuto un trattamento onesto e corretto. È il Corriere dello Sport che parla di Muriel in pugno, un under 26 tra i più talentuosi del campionato. Fedele al progetto Inter, che va avanti per la sua strada, senza ascoltare tutto il resto.

ONORE – L’onore ti fa vincere anche nella quotidianità, anche con gesti che sembrano del tutto spontanei. E così capita di vedere un Agnelli che da Torino arriva alla Pinetina e veste la maglia numero 10, dei nerazzurri. Capita il giorno dopo quel comunicato, e capita anche che dica che <la Juventus deve imparare a saper vincere>. E tu, interista, ridi, lo fai di gusto. Perché quello è un Agnelli che di nome fa Manuel e di professione è un cantante, ma questo è uno sfottò che ha signorilità. Ha la forza delle frasi di un certo Peppino Prisco, che sicuramente non andava per il sottile, ma che nello stesso tempo godeva della stima dei rivali. E così gli imbarazzanti nerazzurri, che secondo chi li vede da fuori vivono nell’isteria e nell’incapacità di saper perdere, vanno in campo ad allenarsi… a palle di neve. E il mister è il primo a divertirsi con loro: ridono. Nel frattempo la squalifica di Perisic viene ridotta. Non quella di Icardi, è capitano e paga l’ingenua rabbia di chi si è visto togliere la possibilità di battere una grande rivale: ed è giusto così. L’Inter tornerà a vincere, questa è una promessa che questi piccoli dettagli portano ad essere una certezza. La Juventus invece resta quella spocchiosa vincente che sta antipatica a tutti. Ma non è invidia. L’applauso potrebbe anche partire… ma non se ti bei di tre stelle su uno stadio da quando “Trentuno sul campo ce li ha solo Mudingayi”.