31 Ottobre 2016

EDITORIALE – La sola, vera colpa di Frank de Boer

L'editoriale del lunedì, che stavolta prova a mettere a fuoco l'unico, vero, errore dell'olandese da quando è sbarcato a Milano. Checché ne dica la stampa...

EMPOLI, ITALY - SEPTEMBER 21: Frank de Boer manager of FC Internazionale during the Serie A match between Empoli FC and FC Internazionale at Stadio Carlo Castellani on September 21, 2016 in Empoli, Italy. (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Chiunque abbia seguito le peripezie dell’Inter nell’ultimo mese è perfettamente consapevole del fatto che, attualmente, è in corso una campagna stampa di denigrazione  su Frank de Boer che sta rasentando già da tempo il ridicolo. I tifosi, a ruota, stanno accapigliandosi tra di loro, completamente lacerati: tenerlo o esonerarlo? Una valutazione obiettiva e oggettiva delle circostanze porta in realtà ad attribuire le colpe più grandi alla società in primis e ai giocatori poi, più che al tecnico olandese. Nonostante tutto, infatti, non si può non vedere nell’ex allenatore dell’Ajax una sorta di vittima da immolare sull’altare dei mancati risultati a mo’ di facilissimo capro espiatorio, nonostante sia il meno imputabile dell’assurda situazione nerazzurra.

Ciò posto, qualche colpa si può trovare anche nell’operato di Frankie. Nemmeno lui è perfetto e dunque non si può dire che qualcosina del suo non ci abbia messo e che sia totalmente irreprensibile. Chiariamoci, non pesa più di un 10-15% sull’intera faccenda, ma è senz’altro qualcosa che gli si può rimproverare. Non è una questione tecnica né tattica ma principalmente di comunicazione (e di inesperienza) e stupisce che chi si è attaccato a tutto pur di farlo passare per un irrimediabile cretino non abbia sfruttato quest’unica sua responsabilità più che evidente.

Frank de Boer, come chiunque lo conosca dai tempi dell’Ajax sa perfettamente, è discretamente cocciuto nonché piuttosto orgoglioso, talvolta anche oltre i limiti dell’arroganza. Non solo, è un figlio di van Gaal da più di un punto di vista e dunque apprezza moltissimo la disciplina (non a caso è un termine ricorrente delle sue interviste), sia in campo, sia fuori. La volontà dei singoli giocatori non è quasi mai una variabile da tenere in serio conto, a meno che questi non si siano già conquistati in modo inalienabile la fiducia del mister: il dialogo non è particolarmente considerato. Nulla di più facile che – arrivando nello spogliatoio nerazzurro in circostanze molto concitate – abbia deciso di imporsi da subito coi giocatori come punto di riferimento indiscutibile, non proprio quel che si dice “entrare in punta di piedi”. Può benissimo darsi che abbia deciso di fare così proprio a causa della fretta: la strada più veloce era accentrare ogni possesso decisionale a livello tecnico su di sé, senza consulti coi giocatori o con la società – e forse è a questo che si riferiva Bergomi qualche tempo fa. Si può quindi immaginare che i senatori (o presunti tali) dello spogliatoio abbiano preso male il non essere interpellati dal nuovo mister. Chi si ricorda l’approccio all’ambiente romanista di Rudi Garcia, che fece un patto con Totti, De Rossi e tutti i giocatori più esperti che allora vestivano il giallorosso promettendosi reciproca lealtà in nome del bene del gruppo? Ecco, de Boer all’Inter probabilmente ha fatto il contrario esatto.

Successivamente, de Boer ha cercato di instradare la squadra sui suoi principi senza mezzi termini, cercando di far sì che la sua filosofia penetrasse nella testa dei suoi nel minor tempo possibile per avere una base su cui lavorare. Prima della sfida contro il ChievoVerona non ne aveva quasi avuto il tempo e ha cercato un compromesso, dalla settimana successiva invece ha provato a inculcare solo le sue idee nei giocatori, pur sapendo che probabilmente avrebbe compromesso qualche gara e che gli ci sarebbe voluto parecchio tempo (e l’ha anche detto esplicitamente, affermando che si sarebbe vista la sua mano in non meno di quattro mesi).

L’ha fatto in buona fede, da uomo sinceramente convinto che i risultati sarebbero potuti arrivare solo seguendo la sua strada e la sua guida ma la mancanza di punti nonostante l’applicazione più o meno corretta dei suoi principi gli sta ora costando l’appoggio della squadra, che si è probabilmente sentita semplicemente un mezzo dell’affermazione del mister. De Boer non ha saputo infilarsi nella testa dei suoi, come si dice spesso, non è stato in grado di far sentire apprezzato chi non gioca o chi sbaglia, non è stato capace di convincere i giocatori a fare sempre e comunque quel che gli veniva chiesto a prescindere dai risultati delle partite. In definitiva, se il gruppo non è coeso come dovrebbe, è anche colpa sua ed è questa la principale responsabilità del tecnico oranje relativamente alla situazione attuale.

Ovviamente, avendo alle spalle una società dotata di più sale in zucca non sarebbe stato un approccio disastroso come invece sembra adesso e se ci fosse stato un tramite affidabile tra società, tecnico e giocatori probabilmente delle incomprensioni del genere si sarebbero potute risolvere senza troppi patemi. Invece de Boer, arrivato da uomo solo, non ha fatto che isolarsi (involontariamente) ancora di più insieme al suo staff, venendo abbandonato da società e giocatori.

I giornali e le televisioni che lo avversano lo hanno attaccato soprattutto sulla sua idea di calcio e le sue visioni tecnico-tattiche, perdendosi per strada questi problemi relazionali sicuramente non trascurabili, hanno completamente perso il focus sulla situazione, arrivando ai parossismi a cui stiamo assistendo. Eppure sarebbe bastato informarsi sulla storia dell’allenatore olandese per poi riflettere più analiticamente e meno con la pancia per capire dove effettivamente stiano i suoi errori più gravi. Onestamente, più le critiche che gli si rivolgono trattano solo di campo, più viene il dubbio che siano fatte per partito preso. Non sarebbe sorprendente, ormai.