12 Febbraio 2018

EDITORIALE – L’alternativa che manca(va)

Torna il consueto editoriale del lunedì sera per voi affezionatissimi, a questo giro ancora immerso nella giocata di Yann Karamoh e nella voglia di fare di Rafinha. Augurandovi di non svegliarvi bruscamente, non si può che riflettere sul valore di una panchina affidabile

Due mesi senza vincere sono un’eternità. E sembrano persino più lunghi (molto più lunghi) quando, domenica dopo domenica, la squadra in crisi sembra spesso  – per un misto di abilità e fortuna – sulla china di interrompere la maledizione salvo poi ripiombarci con tutte le scarpe facendosi rimontare in modo goffo o del tutto evitabile, quando non è essa stessa a finire sotto nel punteggio per prima. Delle montagne russe emotive continue durante le partite che sfociano inevitabilmente in una stabile insoddisfazione dopo il fischio finale, bagnata da una punta di amarissima impotenza che non solo non butta giù la pillola ma te la ficca proprio in gola.

Tutto questo ha vissuto l’Inter tra l’inizio di gennaio e domenica scorsa (le sconfitte e i pareggi di dicembre sono roba un po’ diversa) e tutto questo ha solo rafforzato le paturnie mentali e i patimenti tecnico-tattici di un gruppo che sembrava semplicemente non avere più né risorse, né energie per potersi spingere oltre il baratro. Però, domenica 11 febbraio, Yann Karamoh da Abidjan (ma cittadino francese) con un destro-sinistro in velocità ha messo il pallone a giro alle spalle di Mirante e, contemporaneamente, scacciato una discreta quantità di fantasmi. Perlomeno legati a quella partita, poi per le prossime si vedrà. Tempo al tempo, come dice il saggio.

Intendiamoci, per i processi sommari di beatificazione/canonizzazione in vita è ancora decisamente presto (nel dubbio vale quel che si diceva di recente su Rafinha: Karamoh ha bei numeri, sembra poter diventare un buon giocatore ma non è Gesù Cristo né è in grado di salvare da solo alcuna squadra) ma senz’altro si può gioire del fatto che l’Inter, con il francese e con l’ex Barcellona, parrebbe aver finalmente trovato quel che sembrava non avere in alcun modo e che non ha potuto comprare a gennaio: un’alternativa credibile da pescare in panchina.

Lo dicono sempre i grandi vecchi (quelli assennati, ovviamente. I fenomeni da baraccone non sono contati nel novero) che commentano il campionato: la Serie A si vince al 90% allestendo una grande difesa, vincendo contro le piccole e sfruttando ogni risorsa possibile della rosa. Sono luoghi comuni apparentemente banali che in realtà sottendono: una grande capacità di adattare i propri principi difensivi di base a diciannove modi di attaccare diversi che si affrontano lungo la stagione, la possibilità di saper offendere talmente bene e con una varietà di soluzioni sufficiente da riuscire a battere all’andata e al ritorno almeno quindici altre squadre (nonostante possano leggerti dopo la prima sfida) nonché la bravura di allestire un gruppo talentuoso, efficace e funzionale in ogni suo effettivo, in modo che il tecnico possa variare lo spartito e far riposare qualcuno di tanto in tanto.

L’Inter in questo momento è particolarmente carente nella seconda e nella terza specifica richieste alle squadre che possono competere per il titolo e, a ben vedere, i due concetti sono collegati: senza la possibilità di pescare dalla propria rosa qualcosa che possa portare benefici a gara in corso o consenta ogni tanto di variare il tema tattico anche dal primo minuto, non si può avere più di un tot di soluzioni d’attacco, non tanto a livello di schemi, virtualmente infiniti anche con solo undici uomini a disposizione, quanto a livello di interpretazione degli stessi, visto che un giocatore – per quanto eclettico – non può avere un arsenale infinito di soluzioni (tranne quella manciata di mostri inarrivabili, ovviamente).

Karamoh e Rafinha possono essere un grande sospiro di sollievo per Spalletti non appena veda un suo titolare barcollare dolorante o non in grado di scendere in campo il giorno prima della partita. E chissà che il tecnico toscano non riesca a lavorare sufficientemente sulla testa di altri giocatori in rosa considerati da tanti “esuberi” in modo che possano essere alternative affidabili. L’allenatore di Certaldo ha spesso parlato di gruppo forte: ora tocca ai giocatori dimostrarlo.