9 Febbraio 2020

OCCHI SULL’AVVERSARIO – La guida di Pioli, il ritorno di Ibra e l’ennesima rivoluzione: come arriva il Milan a un derby con una posta in palio altissima

Tutto quello che c'è da sapere sui rossoneri in vista del fischio d'inizio

L’importanza di un derby va sempre oltre i semplici tre punti in palio, ma la posta in palio oggi oltrepassa di gran lunga ciò a cui la stracittadina ci aveva abituato negli ultimi anni. Per l’Inter, tornata alla vittoria domenica scorsa contro l’Udinese, la partita di questa sera apre un mese a dir poco decisivo per le sorti della stagione, in cui, giocando ogni tre giorni, affronterà gli scontri diretti contro Juve e Lazio in campionato, la doppia sfida contro il Napoli per guadagnarsi l’accesso alla finale di Coppa Italia e i sedicesimi di Europa League contro il Ludogorets.

Il Milan, dal canto suo, arriva alla partita nel suo momento di forma migliore, dopo una rivoluzione – l’ennesima –  che però sembra aver finalmente dato i suoi frutti consegnando alla squadra nuova linfa e ritrovate certezze. Ci aspettiamo quindi dei rossoneri, guidati da un rientrante Ibrahimovic, pronti a fare di tutto per ritrovare una vittoria nel derby che manca da più di due anni e, se possibile, provocare una frenata decisiva alla corsa scudetto dei nerazzurri. In attesa del fischio d’inizio, ecco la nostra presentazione del Milan in cinque punti.

IL MOMENTO DI FORMA

Come detto in precedenza, il Milan sta vivendo il suo miglior momento di forma dall’inizio di questa stagione. Nelle partite disputate finora nel 2020 sono arrivate infatti cinque vittorie, due pareggi e nessuna sconfitta. Un dato importante per una squadra che, da agosto a dicembre, di sconfitte ne aveva accumulate ben otto in diciassette partite giocate, tra cui l’ultima, pesantissima, per 5-0 contro l’Atalanta. Va anche sottolineato comunque che le vittorie di maggior spessore tra queste sono quelle contro un Cagliari e un Torino in profonda crisi, mentre le altre sono arrivate in tutti e tre i casi contro squadre in lotta per non retrocedere (Brescia, Spal, Udinese).

In questo senso quello di domenica scorsa contro il Verona era un test molto importante in vista del derby, visto che la squadra di Juric si sta rendendo protagonista di un’ottima stagione e si trova in una posizione di classifica in cui può legittimamente sognare un posto in Europa League, ponendosi di fatto come una concorrente diretta dei rossoneri. E contro gli scaligeri il Milan, orfano di Ibrahimovic, ha comunque messo in mostra una buona prestazione, ma ciò che è riuscito a costruire nei novanta minuti non è bastato per avere la meglio contro una squadra comunque più modesta sulla carta e rimasta anche in inferiorità numerica nel finale di partita. Il match contro l’Inter a questo punto rappresenterà la vera prova del nove per un Milan che dovrà confermare di aver fatto davvero dei passi avanti e di potersela giocare alla pari contro una delle squadre migliori del campionato, e il fatto che si tratti proprio dei rivali cittadini non potrà che essere un ulteriore stimolo per una squadra che arriverà al fischio d’inizio con tutto da dimostrare.

In ogni caso grazie a questa striscia positiva i rossoneri si trovano ora al sesto posto in classifica, una posizione tutt’altro che scontata fino a qualche settimana fa e che fornisce al Milan una buona base di partenza per una seconda metà di stagione che possa permettere di riscattare l’inizio disastroso di cui si è reso protagonista. Confermare una qualificazione in Europa League rimarrebbe comunque un risultato inferiore rispetto al vero obiettivo delle ultime stagioni, ovvero ritrovare un posto nell’Europa che conta, ma visto come si stava mettendo la stagione per i vertici societari rossoneri potrebbe essere comunque un risultato ben accetto per proseguire la ricostruzione senza un’ulteriore rivoluzione che obbligherebbe a ricominciare di nuovo tutto da zero.

IL DISASTRO GIAMPAOLO

Per comprendere al meglio l’andamento della stagione del Milan è però necessario fare qualche passo indietro e tornare sulla decisione presa dalla società in estate, quando Boban e Maldini, subentrati a Leonardo negli uffici dirigenziali, annunciavano la scelta di Marco Giampaolo come nuovo allenatore del club. Il tecnico veniva da alcune annate positive sulla panchina della Sampdoria ed era stato individuato come il profilo più adatto per gestire la transizione che, nelle intenzioni della società, avrebbe portato il Milan ad essere una squadra con un’identità di gioco ben codificata, all’altezza dei fasti migliori della sua storia e in grado di valorizzare al meglio il talento di un gruppo di giocatori giovani e in rampa di lancio. L’allenatore abruzzese arrivava dunque senza alcuna esperienza in una grande squadra ma con una fama, quella del ‘maestro di calcio’, con cui la dirigenza rossonera,probabilmente sperava di replicare un’operazione simile a quella fatta cinque anni fa dal Napoli con Sarri.

Il mercato estivo portato avanti dalla nuova dirigenza ha però da subito rivelato una forte incongruenza con quello che da sempre è il modulo preferito da Giampaolo, il 4-3-1-2, dal momento che la rosa messa a sua disposizione presentava come gli scorsi anni una lunga lista di esterni senza avere invece alcun trequartista. In una prima fase il tecnico ha quindi deciso di rimanere fedele alle sue idee e cercare di far adattare Suso in quella posizione. Il suo integralismo tattico ha però avuto vita breve, e già dopo la sconfitta all’esordio in campionato contro l’Udinese Giampaolo ha annunciato che avrebbe provato ad adattare i suoi principi di gioco al 4-3-3, il modulo usato più spesso dalla squadra negli ultimi anni e più adatto ai giocatori a disposizione.  Questo cambio di modulo non è però servito a invertire la rotta, e il 10 ottobre, dopo una serie di sconfitte in cui la squadra ha palesato una mancanza di idee e convinzione a dir poco preoccupante, la dirigenza ha deciso di porre fine all’esperienza del tecnico ex-Sampdoria sulla panchina del Milan.

Alla luce dei riscontri ricevuti dal campo è difficile criticare la scelta dell’esonero, ma a posteriori è altrettanto arduo allora comprendere la scelta fatta in prima istanza assumendo Giampaolo. Dal momento che la società non era pronta né a compiere scelte forti sul mercato (ad esempio vendere giocatori inadatti al suo modulo come Suso e Kessie per reinvestire i soldi su altri più adeguati) né a dargli il tempo necessario per adattare la squadra ai suoi principi di gioco accettando un’inevitabile inizio problematico, risulta evidente come in partenza la scelta fatta avesse ben poco senso.  Ci sarebbe da capire se Boban e Maldini inizialmente fossero effettivamente convinti di puntare su di lui per poi cambiare idea in corsa o se Giampaolo sia semplicemente stato scelto in assenza di alternative migliori ma senza che la società fosse davvero disposta a rimodellare la squadra in base alle sue necessità. In ogni caso l’esito dei loro primi mesi di gestione ha evidenziato una seria mancanza di convinzione verso un progetto a lungo termine, ma l’indirizzo preso con la scelta di Pioli e con il lavoro sul mercato invernale sembra quantomeno aver mostrato una maggiore accortezza e una programmazione determinata da considerazioni di più ampio respiro.

SUBENTRA PIOLI

Affidando la panchina a Stefano Pioli il Milan sembra essersi tutelato su più fronti: in primis perché si tratta di un allenatore con un gioco più immediato e più facilmente adeguabile alle esigenze dettate dalla rosa a disposizione (anche in relazione ai cambiamenti effettuati nel mercato invernale), e poi perché rappresenta una scelta spendibile tanto come, eventualmente, traghettatore di sicura affidabilità fino al termine della stagione quanto come opzione di più lungo termine in caso la squadra riesca a finire la stagione con un bilancio particolarmente positivo. D’altronde la strada intrapresa nell’ultimo periodo dall’allenatore parmigiano sembra essere quella giusta, e, confermando lui al termine della stagione, la società potrebbe investire i soldi che invece sarebbero da destinare all’ingaggio di un nuovo allenatore (probabilmente con un maggiore stipendio di lui, si era parlato di profili come Spalletti e Allegri) per rafforzare una rosa ancora carente sotto diversi aspetti. E considerando l’enorme quantità di soldi spesi infruttuosamente negli ultimi anni, non sarebbe di certo una follia.

A livello tattico, Pioli, dopo aver provato a insistere sul 4-3-3 con risultati alterni fino all’arrivo di Ibrahimovic, ha trovato la quadratura del cerchio schierando il suo undici con un 4-4-2 che coniuga al meglio la continua ricerca della verticalità tipica del suo gioco con un sistema che potesse permettere di sfruttare al meglio le qualità da accentratore dell’attaccante svedese attenuandone i naturali limiti dovuti all’età affiancandogli un attaccante di maggiore movimento e con caratteristiche che ben si sposano con le sue, come Leao (fino a quel momento protagonista di una stagione a dir poco deludente) e Rebic (prima quasi totalmente inutilizzato nonostante i soldi investiti su di lui in estate). Il nuovo modulo ha poi permesso di sfruttare al meglio anche le qualità dei centrocampisti presenti in rosa, dando finalmente un senso alla stagione di giocatori fin lì altrettanto deludenti come Chalanoglu, Bennacer, Bonaventura e Castillejo. Insomma, il tecnico sembra aver trovato un sistema di gioco in grado di giovare a tutta la squadra, e visto che sono decisamente presenti dei margini di miglioramento col passare del tempo si potranno vedere meccanismi sempre più rodati e perfezionati.

ZLATAN IS BACK

Il ritorno di Zlatan Ibrahimovic dopo l’esperienza in MLS con la maglia dei Los Angeles Galaxy ha suscitato un’ampia gamma di reazioni all’interno della discussione calcistica italiana. Per i più ottimisti, a prescindere dall’età, l’inserimento in squadra di un giocatore come lui avrebbe garantito al Milan un netto passo avanti in termini di atteggiamento e mentalità, senza considerare le doti tecniche ancora uniche e inarrivabili dell’attaccante svedese. A molti altri invece il suo acquisto è sembrato l’ennesimo buco nell’acqua di una società senza idee e incapace di costruire un progetto in grado di costruire un progetto a lungo termine, un colpo più mediatico che frutto di valutazioni sportive.

Per quanto sia ancora presto per tirare le somme, le prime partite sembrano aver dato ragione ai primi. Di sicuro non basterà il solo Ibra per riportare il Milan ad alti livelli e rimangono dei dubbi su quanto a lungo si potrà fare affidamento su di lui, ma come già scritto con lui in campo la squadra sembra aver finalmente trovato una nuova identità, nuove convinzioni e un nuovo ottimismo verso il futuro, perlomeno di questa stagione. Lo stesso Pioli ha tenuto più volte a riportare ai microfoni dei giornalisti lo scatto che l’arrivo di Ibrahimovic ha fatto compiere all’intero gruppo in termini di mentalità e di personalità, elevandolo a modello da seguire e imitare a tutti i costi per fare un salto di qualità e lasciarsi alle spalle gli insuccessi della prima metà di stagione. Se riuscirà a recuperare per il derby dunque lo svedese rappresenterà un grosso valore aggiunto per la sua squadra, e se non ha perso lo smalto dei tempi migliori l’accoglienza ostile del pubblico nerazzurro non potrà che affilare ancora di più il suo dente avvelenato verso la squadra con cui ha giocato prima di lasciare l’Italia per cercare di vincere la Champions con la maglia del Barcellona.

UN NUOVO MILAN?

Il ritorno di Ibra, il cambio di modulo e le cessioni eccellenti: quello uscito dal mercato di gennaio è senza dubbio un Milan profondamente diverso da quello costruito in estate e che ha raccolto una brutta figura dopo l’altra nella prima parte di campionato. Ad inizio stagione tra gli insostituibili della squadra figuravano giocatori come Piatek e Suso, che hanno dato il loro addio a gennaio tra i fischi e il malcontento del pubblico milanista, e Paquetà, anche lui vicinissimo alla cessione e mai tenuto in grande considerazione da Pioli. Il loro tracollo è però anche il tracollo della gestione societaria degli ultimi anni. Su Piatek e Paquetà, solo un anno fa, la dirigenza investiva più di 73 milioni (dati Transfermarkt), una cifra altissima considerando come è andata a finire per loro al Milan e come il club uscisse da sessioni di mercato altrettanto dispendiose e fallimentari (basti ricordare l’estate targata Fassone e Mirabelli e quella successiva all’insegna degli acquisti di Higuain e Caldara).

La gestione societaria del club negli ultimi anni ha lasciato a desiderare sotto ogni punto di vista, ed è difficile dire anche solo se il duo BobanMaldini abbia garanzie di impegno e di interesse a lungo termine da parte della proprietà. D’altro canto le quote di maggioranza della società sono in mano a Elliott Management Corporation, un fondo d’investimento che difficilmente può rappresentare per il club una presenza forte e stabile nel tempo come lo sono Suning per l’Inter o Exor per la Juventus. Secondo Fox Sports ad esempio, il piano della proprietà sarebbe quello di ricostruire e rilanciare il valore del club in modo da venderlo dopo tre anni per una cifra fissata a un miliardo di euro.

In questo senso, l’impressione è che le scelte prese dalla dirigenza negli ultimi mesi siano state indirizzate quantomeno a fornire delle garanzie per il presente, nella speranza di risollevare le sorti della squadra dopo l’inizio disastroso ed arrivare alla fine della stagione in una posizione che fornisca migliori prospettive in termini sportivi e quindi maggiori margini economici per investire ulteriormente e proseguire nell’opera di ricostruzione volta a riportare il club nelle posizioni che storicamente gli competono. Ma se l’ennesima rivoluzione non dovesse bastare per riportare il Milan in Europa, c’è da chiedersi come reagirebbe la società di fronte a un ulteriore esito  così inconcludente. Soprattutto considerando che in partenza l’obiettivo prefissato era quello della qualificazione in Champions League, un traguardo che genera introiti – e quindi orizzonti – nettamente superiori rispetto all’Euopa League. Insomma, anche per il Milan la posta in gioco di questa stagione è altissima, e il derby storicamente rappresenta uno snodo fondamentale per i destini di vincitori e vinti.

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