23 Aprile 2012

ESCLUSIVA – Intervista a Zamberletti: “Il Fair play finanziario? Il consorzio è una scelta vincente!”

Anche nel mondo del Basket ci sono grandi appassionati di calcio ma soprattutto di Inter, uno di questi è Marco Zamberletti, responsabile Marketing & Comunicazione della Cimberio Varese. Nel corso dell’intervista,  è emerso anche un momento in cui, all’inizio di carriera, il suo lavoro e quello dell’Inter si sono incontrati: ?stavo preparando la tesi, il professore con cui stavo lavorando era un gran tifoso interista e così avevamo deciso di strutturare il lavoro sulle sponsorizzazioni legate all’Inter. Inizialmente la società organizzò un incontro con tutti gli studenti che stavano preparando la laurea sui nerazzurri ma, allora come ora, era un periodo di crisi e smisero di seguirci. Era l’anno in cui Mazzola lasciò la dirigenza interista e per questo il clima non era dei migliori per preparare in tempi brevi il mio lavoro. Spostai la mia attenzione sul Basket, nello stesso anno Varese si apprestava a vincere lo scudetto della stella e così sposai la causa cestistica che diventò, ed è tutt?ora, il mio lavoro.?

La Pallacanestro Varese è una delle società storiche del basket italiano, e ultimamente ha intrapreso una strada nuova, che si sta rivelando vincente: quella del consorzio, di cosa si tratta?

?La Pallacanestro Varese ha sempre avuto la fortuna di poter contare su dei grandi proprietari innamorati della squadra, come la famiglia Borghi, Bulgheroni e infine  Castiglioni che però, anche a causa della crisi, sono arrivati a non potersi più permettere di mantenere un impegno economicamente importante come quello di una squadra di serie A di basket. Per questo avevano iniziato a cercare acquirenti disposti a sostituirli, ma nella zona di Varese non c’era nessun imprenditore che se la sentiva di assumersi una simile responsabilità singolarmente. In molti però proponevano di fare quote separate, aprendo la società a diverse industrie. Da lì è partita l’idea del consorzio, che in parte si ispira a ciò che nel calcio è rappresentato dal Barcellona, anche se non è paragonabile con il modello spagnolo anche per i diversi regimi fiscali. Il progetto, che ha scelto il nome di ?Varese nel cuore?,  ha preso piede e così da quelli che erano meno di 20 consorziati, oggi abbiamo sfondato la soglia dei 60, con la speranza di raggiungere presto i 100 per avere una base solida su cui costruire il nostro futuro.?

Ma è possibile per chiunque entrare a far parte del Consorzio ?Varese nel cuore??

?Le possibilità di ingresso sono svariate: chi entra nel consorzio versa una quota consortile iniziale di ?1000, una sorta di cauzione, con la quale si impegna a fare un investimento minimo di 10000 ? per tre anni, che ci permette di avere già una stima di quello che sarà il budget su cui poter costruire la squadra. In cambio i consorziati possono avere abbonamenti e spazi pubblicitari. Il rischio di una società così ?frastagliata? poteva essere quella di non raggiungere l’unanimità sui punti di discussione. Si è per questo deciso di formare un Cda, composto da  Michele Lo Nero, presidente del consorzio, Francesco Vescovi, presidente della Pallacanestro Varese, Stefano Coppa, amministratore societario, Vittorio Gandini, direttore generale dell’UNIVA e Claudio Castiglioni, come presenza formale della vecchia proprietà. Il nostro intento è oggi quello di far vivere quotidianamente il consorzi; per questo creiamo eventi dove i membri della società possono anche conoscersi tra loro, così da aumentare l’entusiasmo nel gruppo, presupposto fondamentale per poter cercare di rinnovare la fiducia nel nostro progetto anche al termine dei primi tre anni.?

La Pallacanestro Varese è una delle poche realtà sportive in Italia che è riuscita a chiudere in attivo il bilancio. Qual è il vostro segreto?

?Innanzitutto va detto che noi abbiamo nominato una società di Revisione contabile, la KPMG, che ci permette di certificare il bilancio. Questa è una scelta rara nello sport, solo l’Olimpia Milano ce l’ha, ma per il fatto che fa parte del gruppo Armani. Un?altra decisione importante è quella di spendere solo ciò che incassiamo e accantonare i surplus per poter avere un tesoretto con cui investire sul mercato in caso di necessità. Questi sono gli atteggiamenti che ci hanno permesso di chiudere in attivo il bilancio senza aumenti di capitale.?

Platini, promotore del Fair Play Finanziario sarebbe fiero di voi, credi che il modello del consorzio possa essere esportato a una società come quella interista?

?Penso che questo modello sia esportabile nel calcio, soprattutto per la quantità di entrate derivate dalla visibilità e dai diritti televisivi. Non so se sia attualizzabile in una big come l’Inter, ma per altre realtà più ?provinciali?, l’idea del consorzio è attualizzabile. Il dato certo è che sempre più società falliscono con la scomparsa dei grandi proprietari. Con il consorzio questo non succede perché, con la caduta di un consorziato, ce ne sono altri che possono coprire l’uscita del singolo. Il Fair Play Finanziario è una cosa seria e l’Inter sembra seguirlo bene. La cessione di Eto?o ne è una prova, per quello che è stato anche il risparmio della società a livello di immagine e di ingaggio. Anche perché per i professionisti, sullo stipendio, ci paghi le tasse e il lordo di un giocatore come Eto?o, o come tanti altri all’Inter, rappresenta il grosso delle spese societarie.?

Un elemento che rappresenta una forte fonte di entrata potrebbe essere quello di avere impianti sportivi societari: voi a che punto siete?

?Abbiamo avuto una convenzione con il comune di Varese per i prossimi 20 anni. In questo periodo avremo il palazzetto a nostra completa disposizione a patto che siano nostri gli investimenti per migliorarlo con lavori di ristrutturazione. Il nostro intento è quello di farlo rendere anche con concerti. Nel calcio italiano la Juve ci è riuscita e a gennaio ad un incontro di Marketing sportivo, si è parlato di un merchandising triplicato. Il successo di questo impianto è anche dovuto alle dimensioni ridotte che permettono di avere lo stadio sempre pieno. La ricerca difficoltosa dei biglietti, incentiva il tifoso ad andare allo stadio, perché se è sempre pieno, significa che ne vale la pena: questo instaura un aumento notevole del marketing che ci ruota intorno. L’importante però è fare anche attività commerciali intorno allo stadio, come veri e propri supermercati, per far vivere l’impianto anche quando non c’è lo sport. Nel basket esiste già questa realtà, inaugurata ormai da due anni da Biella.?

Un altro problema è rappresentato da tutte le magliette ?false? vendute intorno agli stadi, i cui introiti non favoriscono le entrate delle società. Succede anche nella pallacanestro?

?Noi siamo una realtà piccola e per questo non abbiamo questi problemi perché non facciamo gola ai bagarini o ai falsari. In Inghilterra per esempio non c’è il problema del nero sulle magliette false. Alcuni scelgono di vendere la licenza, noi invece abbiamo un consorziato, ?Garda?, con cui creiamo tutti i nostri prodotti di vestiario. Nel nostro mondo è più una questione di visibilità che di bilancio. Il nostro prossimo step sarà quello di lanciare il nuovo sito di e-commerce, parallelo a quello ufficiale dove mettere in vetrina i vari prodotti, il tutto appoggiandosi a una società affermata nel settore. Già ora abbiamo un?azione di partnership con prodotti brandizzati che vengono personalizzati dal tifoso con loghi o foto applicati a tazze, tele o altri prodotti. Una scelta che si sta rivelando vincente.?

Parlavi di realtà piccole nel mondo del basket: perché secondo te questo sport non ha lo stesso successo del calcio?

?Penso che sia anche colpa nostra, anche a livello di federazione. Per esempio la Legabasket non ha un responsabile di Merchandising. Tra noi e il calcio c’è un abisso, il basket può contare su 8 milioni di appassionati e però l’audience, malgrado quest?anno si sia tornati a trasmissioni in chiaro e senza abbonamenti, è di 200.000 telespettatori: ciò significa che si può e si deve fare di più. In Italia mancano i giocatori alla Pozzecco o Meneghin, che attira il ragazzino. Per questo molto va fatto a livello di federazione mentre ora ognuno va per la sua strada. A ciò si aggiunge la crisi finanziaria che ha tagliato le gambe a molte società che tirano a campare, come si suol dire, ledendo così il livello del campionato perché, a causa dei pochi fondi, i budget per il mercato diventano molto piccoli.?

Non ci sono più giocatori alla Pozzecco e Meneghin, così come, tranne in rari casi, non ci sono più bandiere. Perché?

?Con le regole attuali che continuano a cambiare, non puoi programmare. Se aumentano gli stranieri, diminuiscono il valore degli italiani. Vent?anni fa era diverso. I giocatori ora a livello di cartellino valgono poco. Così fai contratti annuali, magari con rinnovo e la postilla del Buy-out, una formula con cui tentare di valutare il giocatore. Cerchi cioè di arrivare a fare un business sulle plus valenza, cosa che nel calcio ha permesso di far crescere molto realtà come l’Udinese. Con il mercato sempre aperto poi, diminuisce ulteriormente il valore del giocatore. Anche per i vivai, un tempo c’era la foresteria, con giovani di tutte le parti d?Italia, che venivano portati a Varese, dove gli si pagavano gli studi. Ora tutto questo è troppo costoso, si preferisce utilizzare un esperto, che costa molto meno e rende subito. Adesso le regole stanno tornando a puntare sui giovani, grazie agli indennizzi dati alle società. Staremo a vedere se questa politica durerà.?

Dalla crisi di uno sport, a quella della nostra Inter: che idea ti sei fatto di questa stagione disastrata?

?Da tifoso dico che non criticherei mai Moratti, perché è da ingrati. Non so chi altro possa investire ciò che ha investito lui negli anni. Ora, come è inevitabile, è finito un ciclo, i giocatori non rendono più come 5 anni fa e bisogna farsene una ragione. Tanto di cappello a Zanetti che ha la mia età ed è ancora protagonista. Quest?anno non abbiamo preso un Top Player ma abbiamo puntato sui giovani che hanno però un po’ deluso. Per la prossima stagione credo si debba ripartire da zero e ricostruire. Mou era bravissimo a livello di comunicazione, catalizzando tutto su di sé e facendo ordine. Villas Boas dicono che abbia spaccato lo spogliatoio e non sarebbe facile per lui cercare di convivere con il nostro. Da tifoso vedrei molto bene Blanc.?

Un’intervista davvero ricca di spunti su cui ragionare, perchè fatta confrontando due sport che spesso si ignorano a vicenda ma che invece hanno vari spunti di comunicazione e potrebbero allungarsi la mano a vicenda per superare le difficoltà, economiche ma non solo, che attanagliano lo sport oggi. Da parte della redazione di passioneinter.com vanno i nostri ringraziamenti per la disponibilità della Pallacanestro Varese, nella persona di Marco Zamberletti, a cui si aggiunge un grande in bocca al lupo per la rincorsa ai play off scudetto del campionato di serie A di basket.