13 Settembre 2019

Herrera, lo scudetto del Sergente, l’Europa del Trap e adesso Conte: torna di moda l’ItalInter

Questa stagione la squadra nerazzurra

“Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del Mondo”: nel manifesto di nascita e creazione dell’F.C. Internazionale 1908, e ovviamente anche nel nome di questa società, è raccolta tutta la tradizione nerazzurra; una tradizione di fratellanza e, appunto, di internazionalità, con la voglia di abbattere le barriere, i confini, tra i popoli e le nazioni, riunendo tutti in un’unica famiglia, quella del mondo.

Non è raro, infatti, che l’Inter abbia schierato squadre interamente composte da calciatori stranieri: lo trova nel suo DNA, nel suo essere, nel fatto stesso di essere stata creata per quel motivo.

In alcuni anni della sua storia, però, sia per scelte tecniche sia per regolamenti imposti, l’Inter è stata anche una squadra prettamente italiana, che tanto ha dato al movimento azzurro e tanto ha raccolto nella sua storia. Successe quando fu imposta la chiusura delle frontiere dopo la cocente eliminazione della squadra italiana ai mondiali del 1966, successe con l’arrivo di Giovanni Trapattoni ed è tornato di moda in questo momento storico, con l’arrivo di Antonio Conte e ben 13 calciatori italiani in rosa, cosa che non succedeva praticamente dai tempi precedenti alla sentenza Bosman.

Vediamo nel dettaglio quando l’Inter è stata ItalInter:

UNA NAZIONALE (NER)AZZURRA – Sarti, Burgnich, Facchetti. Tagnin, Guarneri, Picchi. Jair, Mazzola, Milani, Suarez e Corso. Per questioni di regolamento sono ben 9 i calciatori italiani che scesero in campo al Prater di Vienna per conquistare la prima Coppa dei Campioni della storia nerazzurra. Quando Helenio Herrera viene scelto dalla commissione calcistica italiana per far rinascere il movimento dopo il 1966, ponendo le basi per la costruzione della squadra che nel 1968 conquisterà poi l’Europeo giocato in Italia, convocherà praticamente l’intera squadra nerazzurra, mettendo in campo a tutti gli effetti l’ItalInter, con gli allenamenti svolti addirittura ad Appiano Gentile. Una curiosità in tal proposito riguarda la fascia di capitano: la fascia della Grande Inter calzava sul braccio di Armando Picchi, libero con il numero 6, mentre nel passaggio in nazionale il capitano divenne Giacinto Facchetti, terzino con il numero 3, che in azzurro aveva più presenze del suo compagno di club.

L’ULTIMO TRICOLORE PRIMA DEGLI  STRANIERI – Nel 1979/80 l’Inter di Eugenio Bersellini conquista il dodicesimo scudetto della storia nerazzurra; la squadra di Bordon, Oriali, Altobelli e Beccalossi si assesta in vetta solitaria fin dalla prima giornata, unica vincente in un esordio di campionato che vede tutti pareggi, e non lascia più la prima posizione fino al tricolore, regalando al pubblico di San Siro gioie indescrivibili come il poker rifilato alla Juve del Trap, con tripletta di Spillo Altobelli, oppure il derby vinto per 2-0 con doppietta di Beccalossi. Quella agli ordini del “Sergente di Ferro” Bersellini è l’ultima squadra completamente composta da italiani a conquistare lo scudetto nella storia del calcio nostrano: dall’estate successiva, infatti, la riapertura delle frontiere consentirà finalmente l’acquisto di calciatori provenienti dall’estero.

IL PATTO ITALIA GERMANIA – Arriva Giovanni Trapattoni sulla panchina dell’Inter e fa prendere aria alla bacheca che si arricchisce di uno scudetto, quello dei Record, di una Supercoppa, la prima, e di una Coppa Uefa, primo trionfo internazionale della squadra nerazzurra dopo le due Coppe Campioni e le due Intercontinentali degli anni 60. Passerà alla storia anche come l’Inter dei tedeschi, visto che Brehme e Matthaus prima, accompagnati da Klinsmann dalla stagione successiva, ricopriranno un ruolo fondamentale sui trionfi nerazzurri, ma bisogna anche considerare il folto gruppo di calciatori italiani che non solo trasmette, a livello di mentalità, l’interismo ai tedeschi, ma riesce anche a mettere in campo prestazioni di altissimo livello. Non saranno pochi i nerazzurri, infatti, che verranno scelti dal commissario tecnico Azeglio Vicini per rappresentare l’Italia a livello di nazionale, in particolare nei mondiali di Italia 90, quello delle notti magiche, dove l’Inter contribuisce alla spedizione con il portiere Walter Zenga, che stabilirà il nuovo record di imbattibilità, con l’ossatura della difesa composta da Bergomi e Ferri, con le scorazzate di Nicola Berti e con le sponde volanti di Aldo Serena, senza dimenticare i mirabolanti coast to coast dell’ala destra Alessandro Bianchi, non convocato per i mondiali ma comunque nel giro nella nazionale anche nelle stagioni successive, sia con Vicini sia con l’avvento di Sacchi.

RITORNARE GRANDI – La sentenza Bosman cambia nuovamente le regole riguardanti l’acquisto di stranieri e il calcio italiano vede praticamente crollare ogni tipo di barriera. In piena era Moratti bis l’Inter onora il suo nome e diventa Internazionale a tutti gli effetti, abbracciando calciatori di ogni genere di nazione. Indicativa in tal senso è la sera del 22 maggio 2010, quando la squadra di Josè Mourinho conquista la terza Champions League della storia interista e, nel salire le scale del Santiago Bernabeu per andare a ricevere la coppa dalle grandi orecchie, mostra al pubblico e all’Europa intera un’arcobaleno di colori rappresentato da tutte le bandiere di appartenenza. Il mondo in una giostra di colori. La nuova squadra di Antonio Conte, invece, ha fatto qualche passo indietro verso il tricolore: per la prima volta dopo tanto tempo, infatti, l’Inter è un poco più azzurra, con ben 13 calciatori in rosa di nazionalità italiana, alcuni anche già nel giro della nazionale maggiore. Sarà un altro capitolo esaltante dell’ItalInter? Soltanto il tempo potrà risponderci.

 

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