19 Maggio 2020

L’allenatore ed il suo ruolo, Benitez si racconta: “Conta la mentalità: ti fa vincere ed adattarti”

Dai suoi studi a ciò che impari sul campo. Il suo ruolo è fondamentale ed è in continua evoluzione. L'allenatore spagnolo si racconta e parla del suo mestiere

Dalla coppa Uefa nel 2004 con il Valencia, agli anni a Liverpool con la Champions nel 2005 a Istanbul, arrivando anche a toccare il tetto del mondo con l’Inter nel 2010. Dopo i nerazzurri si ricorda delle esperienze al Chelsea e al Napoli. In un’intervista pubblicata proprio sul sito della Uefa, Rafael Benitez parla del ruolo dell’allenatore, prendendosi come esempio: “Ho studiato educazione fisica e questi studi mi sono stati di grande aiuto. Anche il minimo dettaglio faceva la differenza. Battere un record, essere un decimo di secondo più veloce, o un secondo più veloce in una gara dipende da molti dettagli. Ho imparato anche l’importanza della fisiologia, della preparazione atletica, del riscaldamento, delle pause tra una gara e l’altra. Questi sono dettagli che si imparano all’università e che poi si mettono in pratica nelle partite”.

SI IMPARA DAGLI ERRORI –“Uso sempre un’espressione di Luis Molowny mi diceva: “Stai tranquillo, take it easy”. Non abbiate fretta prima di prendere una decisione e assicuratevi che sia quella giusta. Ho adottato questa strategia in seguito. Invecchiando si imparano queste cose. Dico sempre che l’esperienza non è quello che ti succede, ma quello che fai quando ti succede qualcosa. Si impara dai propri errori. Ho lavorato molto in Italia, sono stato in Francia, Olanda, persino nei centri di formazione di Stati Uniti e Inghilterra. Impari qualcosa da ogni esperienza. La verità è che si impara da tutti”.

IL PASSATO, GUTI E DEL BOSQUE “Sono sempre stato uno disposto a imparare. Ho passato molte ore al centro di formazione a parlare con Vicente del Bosque. Abbiamo parlato molto di quello che stava succedendo, dei giovani giocatori; ricordo anche di aver parlato di Guti e del fatto di tagliarsi i capelli o meno”.

MIGLIORARE IL DETTAGLIO – Bisogna sempre pensare da allenatore. Ad esempio ho usato MS-DOS, molte persone non sanno nemmeno cosa sia, Visual Basic e in seguito è arrivato Windows. Già all’epoca avevo un particolare software per monitorare l’attività di ogni mio giocatore. Infatti, ho i dati dei miei attuali assistenti, Antonio [Gómez Pérez] e Mikel [Antía], e quello che facevano quando avevano 16 anni e io ero il loro allenatore. Ho trascritto ogni sessione di allenamento, ogni dettaglio. Ho sempre cercato di riproporre i migliori esercizi. Una volta sono andato in Italia, nella sede della Federcalcio a Coverciano e ho fotocopiato ogni rivista, ogni esercizio e li ho analizzati.

IL PRESSING – “Avrò visto 20 partite del Milan di Sacchi e ho annotato ogni singola cosa che è successa, così ho potuto tirare fuori le linee guida che poi avrei insegnato ai miei giocatori. Per esempio, nelle giovanili del Real Madrid abbiamo giocato in pressing quando ancora nessun altro giocava in pressione. Quasi sempre vincevamo, naturalmente, perché avevamo i giocatori migliori. Ma, oltre a questo, le nostre erano vittorie schiaccianti, quindi erano molto più belle da vedere”.

LA COMPETITIVITÀ – “Il gene della competitività ti permette di fare qualsiasi attività. Sia che si tratti di una partita a carte o a Ludo con le mie figlie, vuoi sempre vincere. Avere questo fattore nel calcio è la chiave, e io sono stato fortunato. Molte persone che non mi conoscono ricordano Istanbul nel 2005 e dimenticano il Valencia, o il Chelsea o l’esperienza al Napoli. Dimenticano però anche qualcosa di molto importante, e cioè che non si giudicano gli allenatori solo in base alla loro capacità di vincere trofei con le grandi squadre.

LA MENTALITÀ – “Il gruppo con cui lavori, il tuo modo di lavorare, i tuoi metodi, il tuo stile di gioco, nell’insieme è tutto competitivo. Questo aspetto ti permette di vincere e di adattarti. La mentalità inglese è molto competitiva. A loro piace allenarsi con intensità. Ci sono tattiche in cui riescono meglio ma a volte sono anche in grado di rallentare il gioco, cosa che gli italiani sanno fare bene”.

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