14 Aprile 2018

Cordova: “Herrera mi ha preso per far fuori Corso. Ho fallito perché non ho resistito alla vita notturna di Milano”

L'ex centrocampista di Inter e Roma ha svelato i retroscena della sua mancata esplosione in nerazzurro

L’ex centrocampista di Inter e Roma, Francesco Cordova, si è concesso in una lunga intervista al Corriere dello Sport ripercorrendo la sua avventura in nerazzurro nella stagione ’65/’66.

L’approdo in nerazzurro: “Arrivo a Milano nel 1962, avevo diciotto anni. Consideri che in quel periodo loro non avevano ancora debellato la nebbia e alle due del pomeriggio non si vedeva nulla. A Milano la mia vita era solo allenamento e casa, perché non conoscevo nessuno. E poi ero abituato al sole di Catania, al mare caldo. Ero disperato. Piangevo, telefonavo a mio padre che mi diceva “lo sapevo, avevo ragione io: tu devi studiare. Torna a casa, che ti frega del pallone”. Era una famiglia “bene”, quindi avrei potuto farlo. Ma io, nella vita, volevo solo giocare a calcio e quindi piangevo disperato. Alle due non vedevo più niente e quindi andavo fortissimo perché, facendo solo allenamento e sonno, ero in una forma strepitosa. Herrera mi aveva preso a ben volere perché voleva fare fuori Corso”.

Le possibilità c’erano: “Avevo le stesse caratteristiche. Andavo fortissimo a Milano. Ma all’improvviso incontro un amico di Napoli cresciuto nella mia stessa strada, lui stava a Milano per lavoro. Abitavamo a fianco. Lui era già inserito a Milano, nella vita notturna. Insomma, da quel momento, per tutta la mia permanenza all’Inter, io non ho mai più dormito”.

Un’occasione persa: “Lì sono stato molto stupido perché avevo l’ambiente favorevole, anche la famiglia Moratti mi voleva bene. Certo a centrocampo concorrevo con Suarez, Corso, Mazzola, Bedin, però io avevo l’appoggio di Herrera. In verità l’avevo all’inizio, poi alla fine no. Una volta c’era una partita di coppa De Martino a Reggio Emilia contro il Modena ed era importantissima per qualificarci. Io non ho giocato quel match perché mi hanno perso. Noi siamo andati in pullman, io, come le ho detto, non dormivo mai, e il tragitto non mi era bastato. Siamo arrivati, abbiamo mangiato alle undici, poi avevo un sonno terribile. Non so come fare, mi aggiro per l’albergo, una hall enorme, vedo una tenda, la apro, c’è una poltrona dietro, penso ”mi metto qua e dormo un’oretta”. Non mi hanno più trovato. Sono tornato a Milano in treno”.

L’allenatore più importante: “Direi Liedholm. Ho avuto anche Herrera a Milano, all’Inter. Però lì ho fatto un po’ di macelli”.

Su Picchi: “Era un comandante. Era il capo vero. C’erano due capi perché dietro era lui, davanti era Suarez. Però di più Picchi, un livornese di quelli tosti. Era bravo, un leader. In campo e fuori”.

Una sola partita in nerazzurro: “Sì. Stavo sempre in panchina. Anche in Coppa dei Campioni stavo in panchina. Ho giocato una partita da titolare proprio a Napoli, l’ultima partita. Quindi ho vinto il campionato anche io. Ma per la situazione intricata che si era determinata a Milano mi hanno mandato a Brescia. Lì ho fatto un grande campionato”.

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