2 Marzo 2017

Icardi: “Inter, resto e guardiamo avanti. Conte? Ora non serve, abbiamo Pioli”

Il capitano nerazzurro si concede ad un'intervista ai margini di un evento organizzato da Nike
icardi juventus

Sempre più centro(avanti) del mondo nerazzurro, Mauro Icardi si è preso l’Inter e i galloni di capitano a suon di gol. Rapportato all’età, è il bomber argentino più prolifico nella storia della Serie A e, con queste medie, rischia di diventarlo anche della storia. La Gazzetta dello Sport lo ha intervistato ai margini di un evento della Nike; ecco cosa gli hanno chiesto:

Icardi, passata la delusione per la sconfitta con la Roma?
«Bisogna sempre lasciarsi alle spalle i risultati negativi e guardare avanti. Specialmente quando si è stati all’altezza dell’avversario».

La rete che la avvicina a Dzeko e Higuain in classifica marcatori è arrivata in una domenica che la allontana dalla Champions. E’ strano, non crede?
«Sì, ma non siamo fuori dai giochi e non lo saremo fino a quando i numeri ci diranno che possiamo qualificarci. Credo fortemente nel 3° posto, ci crediamo tutti, l’obiettivo è sempre quello. Abbiamo il dovere di provarci fino in fondo, io sono molto fiducioso».

Questa sfida a distanza col Pipita tra i top scorer ha una valenza anche in chiave Seleccion?
«Sulla nazionale mi tocca ripetere sempre le stesse cose. Cosa devo fare di più? Il mio compito è giocare bene con l’Inter e segnare ogni volta che ne ho l’occasione, poi la convocazione dipende solo dal c.t. e dalle sue scelte».

Da Batistuta a Milito, da Balbo a Crespo, nessun argentino ha mai segnato tanto – e così presto – in Serie A senza essere titolare in nazionale. Quanto le manca quella chiamata dal c.t. Bauza?
«Io posso solo dire che sono pronto e che non vedo l’ora di indossare quella maglia. Ripeto, il resto non spetta a me deciderlo».

Torniamo in Italia, allora. Ha affrontato in rapida successione la Juve e la Roma. Quale delle due l’ha impressionata maggiormente?
«Sono entrambe forti, con stili diversi. Però, alla fine, parlano i trofei. E se la Juve è la squadra che vince il campionato da 5 anni, se è sempre il primo avversario da battere, significa che è quella che gioca meglio, il resto sono chiacchiere».

Cosa vi manca per poterle strappare uno scudetto? La svolta sembra sempre a un passo e poi non arriva mai…
«Dobbiamo acquisire una mentalità vincente. Non possiamo mostrarla solo in alcune partite, è la continuità ad alto livello la dote che fa la differenza. E che non abbiamo ancora. Dobbiamo abituarci a vincere, deve diventare una cosa naturale, non eccezionale».

Per acquisire questa consapevolezza ci vuole un allenatore di provata esperienza internazionale? Prima si parlava insistentemente di Simeone, ora si fa il nome di Conte.
«Non dobbiamo deconcentrarci o riempirci la testa di situazioni non reali, anche se sono aspetti che fanno parte del calcio. Il nostro allenatore è Pioli e dobbiamo fare il massimo per aiutarlo, come lui ha fatto col nostro gruppo. Ha tirato fuori il meglio di noi, ha cambiato tutto e abbiamo già fatto un salto di qualità notevole, da quando è arrivato a oggi».

Quando è venuto a trovarci in Gazzetta, Pioli ci ha assicurato che queste voci non lo sfiorano nemmeno.
«Dice bene. E io gli credo. Il discorso deve valere anche per noi giocatori, deve contare solo ciò che facciamo in allenamento e sul campo, senza distrazioni esterne».

Il cambio di sistema di gioco voluto da Pioli, quindi, la convince?
«Credo sia il più adatto a noi, perché abbiamo molti campioni con la propensione a sacrificarsi per i compagni. I risultati confermano che è la strada giusta, noi ci troviamo bene».

Il sacrificio vale anche per lei? Segna un gol ogni 38 tocchi del pallone, con la Roma ne sono bastati 32, ma non sempre pare coinvolto nella costruzione del gioco.
«Quelle sono le mie caratteristiche. Ci sono tanti modi di aiutare una squadra e il mio è fare gol. Non mi sembra poco. Sento sempre dire che sono fuori dagli schemi, che dovrei partecipare di più alle manovre d’attacco della squadra, ma mi sono un po’ stancato di questi discorsi. Se andate a controllare i miei assist, io in questa stagione ne ho contati già 8 (per la Gazzetta sono 4, ndr). Il mio contributo lo do anche con passaggi vincenti».

Scherzi del destino: esattamente 3 anni fa, il 1° marzo 2014, le venivano negati due rigori in un Roma-Inter. Ma di arbitri non vorrà più parlare, dopo essere stato fermo ai box due turni.
«Esatto. Preferisco concentrarmi su quello che riguarda noi. Sul nostro processo di crescita, che è bene avviato».

Un percorso che la porterà a segnare tanto quanto Batistuta? Quando è arrivato in Italia, alla Samp, nella sua prima intervista indicava in Batigol il suo idolo.
«Gli anni passano, ma sì, il modello di riferimento resta lui. Certe passioni non cambiano mai. Con quel fiuto del gol non potrebbe essere altrimenti, a chi altro potrei ispirarmi?».

Anche Bati è passato da Milano, come tanti suoi connazionali. Uno è diventato il simbolo nerazzurro: Javier Zanetti. Si vede capitano dell’Inter a vita, come è accaduto a lui?
«È un grande onore essere accostato a un pezzo di storia come Javier. Perché è argentino, certo, ma anche perché ha mostrato il suo attaccamento all’Inter restandoci fino a fine carriera. Ha unito i fatti alle parole, arrivando in cima all’Europa. Io ho un contratto fino al 2021, quando starà per finire vedremo, ridiscuteremo. Accade sempre così. Ma io voglio restare qui». 

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