16 Maggio 2020

Milito ricorda il Triplete: “Chi fu fondamentale? Orlandoni! Mia figlia portò fortuna per quel Roma-Samp”

Il Principe nerazzurro si racconta in questa bellissima intervista

In occasione del decimo anniversario della vittoria dello Scudetto nell’anno del Triplete, Diego Milito ha rilasciato una lunghissima intervista ai microfoni di SportWeek per ricordare quell’annata. Ecco la prima parte della stessa (qui la seconda).

Arrivo nel 2009 – “Avevo 30 anni. Per età ed esperienza accumulata, prima in Spagna e poi in Italia, mi consideravo maturo come calciatore e pronto al salto di qualità”.

Cosa portavi all’Inter – “I 24 gol in 31 partite di campionato col Genoa, al mio esordio in A; i 53 segnati nella Liga, nei tre anni precedenti al Saragozza. Il periodo in Spagna mi aveva fatto bene: avevo assaggiato il calcio europeo, mi ero confrontato con grandi squadre e grandi giocatori. La stagione al Genoa, poi, è stata fondamentale per capire la Serie A”.

Arrivo in Italia – “Il giorno non lo ricordo, posso dire che Milano la conoscevo bene perché ci andavo spesso a trovare i miei connazionali che sarebbero diventati compagni di squadra e che erano già amici ZanettiCambiassoSamuel. Quell’estate, prima di tornare in Argentina per le vacanze, mi fermai in città per cercare casa, così da guadagnare tempo e concentrarmi poi solo sul calcio”.

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Milano – “Vengo su con tutta la famiglia: mia moglie Ana Sofia, il mio primo figlio Leandro, che all’epoca aveva 2 anni, i miei genitori. A guidare la macchina è papà Jorge. Ricordo che feci le visite mediche a Pavia il giorno della finale di Champions tra Barcellona e Manchester United. Non facemmo in tempo a guardare la partita, ma la ascoltammo alla radio mentre tornavamo verso Genova. Dissi a mio padre che ero felice al pensiero che, da lì a qualche mese, pure io avrei fatto la Champions. Però, in quel momento, neanche immaginavo che sarei arrivato in finale, e che l’avrei decisa proprio io”.

Accoglienza in sede – “Tutto lo Stato maggiore dirigenziale: il presidente Massimo Moratti, Marco Branca, Lele Oriali. Moratti mi strinse la mano e, con un gran sorriso, disse soltanto: ‘Benvenuto’. Nei miei cinque anni all’Inter lui si è comportato come un padre. Nei confronti di tutti, non solo miei. Per questo dico sempre che la mia gioia più grande, la sera di Madrid, vinta la Coppa dei Campioni, è stata vedere nei suoi occhi la felicità”.

Incontro con Mourinho – “Mi aveva già chiamato al telefono per raccontarmi il gruppo, i suoi sistemi di lavoro… Poi mi chiese se volessi il numero 22 sulla maglia. Era quello che avevo indossato al Genoa. Gli risposi: ‘Mister, se è libero lo prendo volentieri…’. Disse: ‘Veramente è di Orlandoni, il terzo portiere. Ma stai tranquillo, gli parlo io’. Grande Orlandoni, è stato fondamentale nelle nostre vittorie: spirito sempre positivo, teneva su il gruppo”.

Javier Zanetti – “Straordinario. Esempio di attaccamento al lavoro e alla maglia. Mi rispecchiavo in lui, parlavamo di tutto. Un vero capitano. Ricordo il viaggio di ritorno in treno dopo Fiorentina-Inter 2-2. Krøldrup, un difensore, ci aveva fatto gol quasi alla fine e la Roma ci aveva sorpassato in classifica. Zanetti passava tra noi, che stavamo seduti mogi a testa bassa, ed era carico a mille: ‘Vinceremo lo Scudetto!’, ripeteva. ‘Capito? Lo vinciamo noi!’. E poi il Roma-Samp visto a casa mia. Se la Roma avesse vinto avrebbe avuto il titolo in tasca. La guardammo seduti sul divano, io quasi sdraiato con Agustina, nata da un mese, stesa sul petto. Segna la Samp, passa mia moglie: ‘Vuoi dare la bambina un po’ a me?’. “No, lasciala qui”. L’ho tenuta tutta la partita, è finita 1-2″.

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