6 Maggio 2020

Moratti e i segreti del Triplete: “La svolta contro il Chelsea, merito anche di Mancini. Mourinho e Milito…”

L'ex numero uno dell'Inter ha rilasciato un'intervista ai microfoni de La Gazzetta dello Sport rivivendo le tappe più importanti dell'incredibile annata 2009/2010
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Dici maggio e nella testa dei tifosi nerazzurri tornano vivi i ricordi della stagione 2009/2010. Un’annata indimenticabile, conclusa con lo storico Triplete. Un’opera d’arte che porta la firma di José Mourinho ma soprattutto quella di Massimo Moratti.

L’ex numero uno dell’Inter si è concesso ai microfoni de La Gazzetta dello Sport per rivivere le emozioni di quella incredibile cavalcata, iniziata il 5 maggio 2010 all’Olimpico nella finale di Coppa Italia contro la Roma: “Niente viene esorcizzato nel calcio, quel 5 maggio resta. Anche se Milito poi lo rese meno amaro. Io però nel dubbio per scaramanzia quel giorno a Roma non andai…. Gettammo le basi per il resto. Vincendo peraltro la sfida più dura delle tre, soffrendo in puro stile Inter. La Roma era la rivale storica di quegli anni e ci teneva a superarci. Servì una prodezza da fuori, un gol non da Milito”.

Lo scudetto a Siena:Altra battaglia, ma diversa. L’avversario era meno forte della Roma ma giocò con una determinazione feroce. Poi Zanetti decise che bisognava riscrivere la storia, ne dribblò un po’ e servì un pallone d’oro a Milito. Fu festa vera anche in spogliatoio. Lo scudetto ci preparò al meglio per la Champions. Ricordo il rientro in auto a Milano: una lunga onda nerazzurra, i tifosi che mi affiancavano anche per farmi gli auguri di compleanno. Bellissimo!”.

La finale di Champions League: “Fu paradossalmente la meno difficile. Avevamo sofferto abbastanza a Barcellona. Emotivamente, la Champions l’abbiamo vinta al Camp Nou. La partita più drammatica della mia vita. Giocata quasi interamente in 10 per l’espulsione ingiusta di Thiago Motta. Vedere Eto’o sacrificarsi in fascia rincorrendo chiunque fu un segnale forte. Lì capimmo che il destino era dalla nostra parte, che potevamo superare ogni ostacolo. L’immagine più bella? Sembrerà strano, ma è un’immagine vista dopo in tv. Una ragazza coi capelli corti e la maglia nerazzurra che piange a dirotto. L’emblema della felicità regalata a tanta gente. Poi il primo gol di Milito, per l’importanza e la bellezza, quell’esitazione con cui fece perdere il tempo a portiere e difensore. Diego era così, classe purissima: anche i suoi silenzi erano delle lezioni”.

La vera svolta: “Segnando negli ultimi minuti 2 gol alla Dinamo Kiev evitammo l’eliminazione nel girone, ma la svolta arrivò nell’ottavo col Chelsea. Dopo anni di sofferenza in Europa, capimmo di essere una squadra vera. Mou fece un capolavoro tattico”.

Il costo di quella squadra:A parte l’operazione col Genoa per Milito e Motta e lo scambio Ibra-Eto’o più soldi, da poco era arrivato Julio Cesar. E Cambiasso a parametro zero, grande intuizione di Branca. Ancora non mi spiego come fece il Real a perdere uno così. Il Cuchu arrivò con Mancini, iniziò benissimo ma lo staff tecnico pensava che grazie al suo fisico andava in forma prima. Invece è stato un crescendo. Prima o poi Cambiasso allenerà l’Inter. Maicon a 6 milioni? Al tempo qualcuno mi prese in giro per quella spesa. Intanto arrivò il più grande terzino destro della storia dell’Inter!”.

Il tributo a papà Angelo e Facchetti:Ho pensato a Facchetti dopo ogni vittoria. Figuriamoci quella. ‘Dopo tante sofferenze insieme, dovresti essere qui a godertela anche tu’ gli dissi. Ripetersi nel nome dei Moratti e far felice un popolo mi riempì d’orgoglio. La Coppa del ‘64 fu speciale non solo perché battemmo il mitico Real, ma perché quella squadra, come quella del 2010, era come i Beatles. Grandi uomini messi insieme dal destino per fare la storia”.

I meriti di Mancini: “Tantissimi. Aveva costruito la casa negli anni precedenti. In Italia prima di lui non vincevamo, anche perché c’era una ragione molto importante… È un grande allenatore, come sta confermando in Nazionale. E pensare che decisi di prenderlo dopo che nel Natale 2003 mi regalò una maglia di lana dell’Inter con uno scudetto enorme e nel biglietto scrisse “Se vuole tornare a vincere, io sono a disposizione…”.

L’addio di Mourinho: “Ero preparato. Fu comunque doloroso, ma ricordo che quando ci abbracciammo in campo gli dissi che a quel punto poteva fare quello che voleva. Fu lì che lui iniziò a piangere. Se ne avevamo parlato? Mai! Non volevo rompere l’incantesimo. Però ci scambiammo qualche sguardo che valeva più di tante parole. Ci siamo rivisti due sere dopo. Venne a cena a casa mia, con la Coppa a centro tavola. Quante risate!”.

Il caso Milito:Quella sera commisi l’errore di non dire che era da Pallone d’oro. Forse Diego non si sentì abbastanza apprezzato. Ma non diedi peso alle sue frasi. Se andava venduto? Mi viene ancora da ridere. Era al top e se non si fosse infortunato si sarebbe ripetuto l’anno dopo. Se hai una squadra così forte e non hai bisogno di soldi, perché dovresti cambiarla? La verità è che sbagliai la scelta dell’allenatore. Benitez era bravissimo, ma non era la persona giusta. Avrei dovuto prendere subito Leo, non a Natale”.

 

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