1 Febbraio 2015

Disastro ambientale: Icardi, la Curva e la rissa sul Titanic

 

“Cosa? Ma questa nave non può affondare!” “E’ fatta di ferro signore, le assicuro che può affondare.”

Volano le parole, volano gli stracci, volano gli insulti: della trasferta di Sassuolo rimane un quadro inquietante che pone, per la seconda volta in pochi mesi, l’ambiente Inter sull’orlo di una crisi di nervi di cui francamente si potrebbe fare a meno. E da qui parte una parabola che assomiglia tremendamente a quella del Titanic, riferimento con cui abbiamo aperto questo articolo: dall’entusiasmo di una squadra rinnovata con grandi acquisti e manie di grandezza alla stregua di un transatlantico alla pochezza inerme di undici giocatori letteralmente annientati, come una barchetta a remi senza vogatori in mezzo all’oceano, da un Sassuolo qualunque. Come la famosa nave della White Star Line, a questa squadra si è data un‘accelerazione troppo brusca che gli ha tolto l’equilibrio necessario per evitare in tempo ostacoli letali, giacché non è più un mistero per nessuno che la condizione deficitaria di questa squadra non sarà mai in grado di reggere un 4-2-3-1 sterile e fine a sé stesso finché rimane tale. Fin qui l’analisi squisitamente calcistica, che apre un solo scenario possibile: via lo smoking e imbracciare il piccone, perché il terzultimo posto adesso si sta avvicinando in modo pericoloso.

Dopodiché inizia un’altra partita, la più insensata possibile, che vede opposti i tifosi alla squadra ed in particolare a quel Mauro Icardi che repentinamente ed inspiegabilmente é diventato il bersaglio mobile a rappresentazione di una squadra che senza di lui avrebbe 8 punti in meno (e sarebbe quindi terzultima alla pari del Chievo). I fatti sono presto detti: Icardi e Guarin vanno sotto la curva dell’Inter a fine partita, regalano la maglia che gli viene prontamente recapitata indietro. Volano i gesti di sfida e le parole da ambo le parti, con il 9 nerazzurro a fare le proprie rimostranze ai tifosi che gli urlano “sei un uomo di m...”, prima che la scena venga prontamente vista, assimilata e discussa da mezza Italia. Sui Social Network parte un tam tam che ha del surreale: si creano immediatamente due schieramenti opposti e agguerriti tra loro che parteggiano per l’argentino o per gli ultras nerazzurri e si affrontano in un duello rusticano a colpi di insulti  ed epiteti poco edificanti, come se una delle due parti fosse il nemico da abbattere a tutti i costi. La guerra si gioca sui due fronti principali, rappresentati dal poco attaccamento(o presunto tale) di Icardi alla maglia e sulla sua effettiva prolificità sul campo che ne fa il miglior marcatore dell’Inter per distacco abissale.

Ci sarebbe da analizzare la partita, ma della partita non importa più niente: la nave sta chiaramente affondando, ma sul Titanic si fa a botte per le scialuppe piuttosto che calarle assieme per garantirsi la salvezza nella metà del tempo. Salvezza, già: da oggi diventa imperativo affrontare questo brutto termine e poco importa se i piani erano tutti diversi, non importano i “se” o i “ma”,  non importano più le colpe di questo o quello perché a fondo ci si andrà comunque, a prescindere da tutte le analisi infarcite di congiuntivi e condizionali che potremmo star qui a fare  per spiegarci come siamo arrivati qui. A chi lo inquadra come uno scenario lontano e impossibile, raccomando di domandare a chi oggi ha dai 35 anni in su cosa successe nella stagione 1993/94, con quella corsa salvezza e quel terrore di sprofondare che sparì dalla storia grazie alla Coppa Uefa conquistata al termine di quella comunque sciagurata stagione.

Alla fine il chiarimento tra i giocatori e i tifosi a Reggio Emilia avverrà, ma la lunga scia di polemiche ed attacchi interni non si esaurisce qui; Icardi e Mazzarri diventano due facce della stessa medaglia che provocano un’isterìa collettiva e che hanno come unica conseguenza il picconare alle fondamenta una struttura che sta già affrontando un principio di implosione strutturale, facendo in modo che il “si salvi chi può” diventi l’unico dogma nonostante alla fine della stagione manchino tre mesi abbondanti. L’ambiente torna spaccato in due con una parte a chiedere la testa dell’unico giocatore che, numeri alla mano, può farci sistemare sull’imbarcazione della salvezza e l’altra parte ad enunciare il teorema del “noi siamo più tifosi di voi“.

In questa guerra tra poveri emerge ancora una volta l’instabilità di un ambiente incapace di trasformarsi da esigente committente, che giudica gli eventi ex cathedra,  a parte integrante dell’ingranaggio, che si rimbocca le maniche e partecipa al processo di maturazione in simbiosi con chi poi porta la maglia in campo. In questa masnada di voci incontrollate ed opinioni affilate, il nostro appello non può che essere uno: ricompattiamoci e torniamo a remare nella stessa direzione. Se mai può esistere un momento in cui far scappare tutti i buoi dalla stalla, stiamo certamente scegliendo quello peggiore.