5 Agosto 2013

EDITORIALE – Un’intervista che segna un’epoca

Avrà senza dubbio fatto più rumore l’intervista di Pellegrini, ex presidente dell’Inter negli anni ’90, che chiedeva a Moratti di non vendere a Thohir ma di aspettare la cordata di industriali italiani che stava lui stesso preparando per aiutare colui che fu il suo successore alla guida dell’Inter. Ma le parole del presidente dell’Inter, nella sua casa di Forte dei Marmi, dette al direttore della Gazzetta dello Sport, Andrea Monti, sono davvero destinate a segnare un’epoca, un giro di boa. Massimo Moratti ha parlato non solo da presidente dell’Inter, ma da persona in carne e ossa, ha smesso i vestiti del simbolo per incarnare quelli dell’uomo, stanco, deluso, vecchio, non più al passo coi tempi. Il direttore della rosea lo ha definito l’Avatar di quel Moratti che tutti conosciamo, un avatar che ha però permesso a tutti coloro che davvero vogliono capire cosa stia succedendo, di avere una panoramica chiara non solo dell’Inter ma della situazione del calcio italiano e non solo.

IL CINICO ROMANTICO – Una delle frasi che davvero fanno capire come le parole del presidente siano state pronunciate in camicia sbottonata e pantaloni a tre quarti, in tenuta estiva, magari gustandosi una delle tante sigarette che lo hanno spesso identificato in questi anni, riguarda proprio il suo spirito romantico. La nostalgia per tutto ciò che è stato fatto, che potrebbe essere il freno per questa cessione: “La nostalgia sta sempre alle spalle. Questo è il limite degli atti d’amore, io ho deciso di guardare al futuro”. Un amore per una bella donna, che nel tempo si è trasformato in affetto per una figlia che si è cercato di accontentare in ogni modo per farla felice, per vederla sorridere, fino al gesto estremo: “Viene il momento in cui la si deve mandare in collegio per apprendere la disciplina, e forse questa scelta la si fa troppo tardi”. Parole forti, parole di resa, ma nell’intervista più volte viene fatto notare come il tutto venga detto senza tristezza, con un’estrema consapevolezza di ciò che è giusto, al di là dei sentimenti, con una razionalità figlia di un’età che ha vissuto tante, forse troppe cose, per lasciare spazio ancora a sentimentalismi che potrebbero fare male, sentimentalismi verso qualcosa che ha ormai perso il suo sentimento.

L’INDUSTRIA DEL CALCIO – Se l’è lasciato scappare il nostro presidente, lo ha detto e ha ammesso che nel calcio è brutto dirlo, ma è la verità: “Voi parlate sempre di debiti, ma non sono quello il problema, è un errore di prospettiva. Potrei anche farcela da solo, il problema è il fatturato. Sono le risorse necessarie per lo sviluppo: un tema commerciale, se proprio non vogliamo definirlo industriale, che nel calcio suona brutto”. Suona brutto presidente, suona come una pugnalata al cuore per chi come lei in questi anni ha sofferto ha investito come nessun altro. Da qui in poi fatico a prendere le distanze, a offrire un’analisi oggettiva, mi sento chiamato in causa come tifoso. In quelle parole l’ho sentita davvero consapevole del fatto che questo calcio è ormai business, che c’è spazio per chi è spinto da sentimenti, ma solo se serve.

I DUE VOLTI DEL TRIPLETE – Scorrono le parole e si arriva a quello che è stato il vero culmine della gestione Moratti, il sogno, l’ossessione, la leggenda, l’inizio della fine. La più grande gioia, trasformata nella “più grande occasione persa”, in quell’ottica di fatturato, che vuole essere la nuova prospettiva del calcio. Non più i grandi acquisti, non le vittorie, ma la vendibilità del prodotto all’estero per recuperare il terreno perso con le altre squadre europee e non solo. Perchè se tagli gli ingaggi ma perdi valore a livello di club, non ci saranno miglioramenti, ma come un cane che si morde la coda si arriva a dare la caccia alle streghe, a tagliare tutto per paura di perdere ciò che in realtà non si ha già più. Le icone, i miti, le leggende, non esistono più, non devono esistere, è quasi una preghiera quella di Moratti alla fine della chiacchierata con l’amico giornalista, un appello ai tifosi di spogliarlo dal ruolo mitizzato del presidente dell’Inter. E’ quasi una richiesta di essere liberato, come se chiedesse il permesso ai tifosi di poter compiere questo gesto estremo senza sentire l’onda d’urto delle conseguenze. Vorrebbe avvenisse in silenzio, vorrebbe lasciare senza fare rumore, senza essere al centro di gesti di affetto che rischierebbero di risvegliare quel lato romantico che il presidente sta cercando di soffocare sotto l’esigenza di guardare al futuro.

Portiamo a casa il commercio internazionale, affidiamoci alla nuova prospettiva che sembra essere necessaria per la sopravvivenza, ma che qualcuno ora si faccia avanti e dica a tutti i sentimentali inariditi dal cinismo, come fare a continuare a credere nella passione e vitalità di uno sport che sta vedendo uscire un presidente che già da sabato sta indossando i semplici panni di un uomo che è stato grande, senza mai aver amato le poltrone.