20 Gennaio 2015

FOCUS – Il grande (e salutare) bluff di Mancini

?Dovremo tornare sui nostri livelli l’anno prossimo. Dobbiamo lottare per lo scudetto, prima però dobbiamo lottare per centrare la Champions League”. Basta una battuta, rilasciata in un’intervista a Tiki Taka, una delle tante concesse da quando siede di nuovo sulla panchina dell’Inter, per inquadrare il personaggio. Roberto Mancini è fatto così, è ambizioso, vede lontano, anche sotto la fitta nebbia che sta imperversando, nell’ultimo periodo, in zona Appiano Gentile. Il pareggio con l’Empoli avrebbe frenato l’entusiasmo anche dei più ottimisti ma lui non ha battuto ciglio, almeno mediaticamente, perché, siamo sicuri, si sarà fatto sentire dalla squadra.

Il Mancio ha capito che può e deve far leva sull’entusiasmo dell’ambiente. Sin da subito ha catturato la simpatia dei suoi vecchi-nuovi tifosi, aiutato anche dai tanti successi che hanno costellato la sua carriera in nerazzurro. E’ arrivato facendo la voce grossa con i dirigenti, ha preteso rinforzi sul mercato e adeguate garanzie per non affondare e per non infangare la sua immagine da vincente e, finora, ha ottenuto quello che voleva.

Se ci pensate bene, Roberto Mancini, vincente sulla panchina dell’Inter e sulla panchina del Manchester City, anche dopo la parentesi non proprio brillante al Galatasaray, avrebbe avuto tutto da perdere nell’imbarcarsi in un salto nel buio nerazzurro, spinto dal solo innegabile amore per questi colori. Quante possibilità, infatti, realisticamente, ci sono di vincere con questa Inter nell’immediato? Cosa potrebbe dare in più alla carriera del tecnico un’esperienza in una squadra che naviga a metà classifica nel campionato italiano?

Il Mancio ha parlato con Thohir, con Fassone, con Ausilio, ha avuto rassicurazioni consistenti sulla futura competitività di questa squadra ed ha accettato la sfida con un pizzico di incoscienza ma con la consapevolezza che, qualora si riesca a costruire qualcosa di grande e si riesca a tornare alla vittoria, la sua immagine sarebbe rafforzata, come allenatore e come manager di un progetto a lungo termine. In pochi giorni di mercato ha avuto tutto quello che Mazzarri non aveva potuto avere in due anni: giocatori che spostano l’asticella della squadra, decisivi, come Podolski e Shaqiri. Non chiuderà qui il rubinetto della pressione nei confronti dei suoi dirigenti, per ottenere ulteriori rinforzi a centrocampo e in difesa e se ha parlato di scudetto già dall’anno prossimo, sa benissimo che avrà, anche sotto la scure del fair play finanziario, ciò che cerca.

Mancini non ha fatto meglio di Mazzarri, anzi, ma ha un diverso modo di approcciare questo mestiere: poche polemiche, un diverso rapporto con la stampa e soprattutto un diverso rapporto con la gente. Ha capito che ambizione vuol dire portare tifosi allo stadio e che uno stadio pieno è un supporto fondamentale per una squadra. Ha compreso che bisogna stare al passo con i tempi, abbracciare la sua gente anche virtualmente ed infatti utilizza di frequente i social network, per essere uno di loro, per ribadire che si gioisce e si soffre tutti insieme. Il gioco di Mancini, a parte qualche sprazzo, non è ancora di molto superiore a quello di Mazzarri. L’Inter vista ad Empoli riporta ad epoche poi non così tanto remote e il tecnico di Jesi avrebbe diversi motivi per essere allarmato, avendo gli stessi uomini del tecnico toscano sia in difesa che in attacco, tuttavia non è remissivo e non si ridimensiona come faceva il suo predecessore.

Probabilmente bleffa, probabilmente in cuor suo sa che l’anno prossimo la sua Inter non potrà mai competere per lo scudetto, che ce ne vorranno almeno due o tre per colmare il gap con quelle davanti, forse dubita anche di poter raggiungere il terzo posto quest’anno, ma ha autostima e trasmette fiducia e convinzioni a tutta la squadra.

Mancini, almeno a parole, ha restituito la dimensione di grande squadra alla sua Inter, ha rievocato ricordi vincenti poi non così tanto lontani ai tifosi nerazzurri e ha riacceso speranze che sembravano ormai sopite, adesso la parola, come sempre, spetta al campo, unico vero giudice del futuro interista.

Domani ritrova la Coppa Italia, il trofeo a lui più caro, l’alba del precedente ciclo nerazzurro, perché vincere aiuta a vincere e spalanca le porte di ogni sogno.