10 Ottobre 2011

Alla scoperta del Fair-Play finanziario

Nel giorno in cui circola sui giornali la notizia di un assegno di 40 milioni di euro che Massimo Moratti staccherà il prossimo 28 ottobre per sanare il bilancio della passata stagione, è assolutamente doveroso riflettere sui potenziali cambiamenti che interesseranno il pianeta calcio e ricordare come negli ultimi anni la società nerazzurra, fra le prime in Italia, abbia intrapreso una linea guida che potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti non solo del suo futuro, ma anche del suo ruolo all’interno dello scenario mondiale.

PROGETTO E FINALITA? ? ?D’ora in poi, chi sbaglia, paga. Il fair-play finanziario è un progetto di vitale importanza per il futuro del calcio, concepito non per mettere in difficoltà i club ma per aiutarli a uscire da una spirale infernale che impedisce ad alcuni di essi di avere un modello sostenibile a medio o lungo termine?. Parla così Monsieur Platini, principale ideatore di questa ormai nota svolta epocale. Per l’ex numero 10 juventino favorire l’uscita dei club da questo vortice significa fare in modo che si spenda non più di quanto si incassa in netto. È fondamentale precisare, infatti, che i club devono sostenere diverse voci di uscita oltre a quella relativa agli acquisti dei giocatori: per esempio stipendi ai dipendenti (calciatori inclusi), costi operativi o, per i club nostrani, affitto dello stadio. Ci si sbaglia, quindi,  quando si legge che il budget per il calciomercato sarà pari all’intero fatturato, perché ad esso, rappresentato da incassi di biglietteria, sponsorizzazioni, pubblicità, diritti televisivi e plusvalenze su giocatori, vanno aggiunte tutte le spese prima citate. Ad ogni modo la riflessione più immediata è che, a bilancio pareggiato, chi più incassa, più  può spendere.

IL PRESENTE ? Quanto scritto finora varrà però a partire dal 2018. Il motivo di questo ingente ritardo va ricercato nei bilanci del presente, il 90% dei quali è in rosso. Sarà dunque necessario arrivare al pareggio (il cosiddetto break-even point) fra non più di 6 anni, con una pianificazione divisa in due trienni: pena un possibile procedimento disciplinare con sanzioni che arriveranno fino all’esclusione dalle coppe europee. Per ogni triennio il deficit massimo teorico consentito dall’Uefa sarà di 5 milioni di euro, con la chiosa che, viste le difficoltà del progetto, nel primo triennio (2012-2014) si potrà arrivare ad un massimo vero e proprio di 45 milioni di euro (colmabili con contribuzioni o aumenti di capitale), nel secondo (2015-2017) ad un massimo di 30 milioni di euro. L’agevolazione sui trienni si è resa necessaria perché, nell’analizzare i bilanci di oggi, l’organo guidato da Le Roy Michelle ha constatato che se il FFP fosse stato applicato dal 2008 al 2010 nei cinque campionati di maggiore importanza (Francia, Italia, Germania, Spagna, Inghilterra), più di trenta squadre avrebbero avuto bisogno di finanziamenti eccessivamente robusti: in altre parole Valencia, Barcellona, Milan, Chelsea, Inter e le due squadre di Manchester sarebbero state escluse dall’Europa che conta.

PRESA DI COSCIENZA ? In Italia ci si accorge sempre troppo tardi della realtà delle cose: l’orchestra continua spesso a suonare mentre la nave affonda. Dei maggiori club solo Juventus ed Inter hanno compreso il senso e i rischi dell’attuazione di questo programma, mentre il Milan, per esempio, ha continuato a non preoccuparsi della situazione fino al mercato estivo di quest?anno. La stagione 2010/11 è stata peraltro l’ultima senza la supervisione dell’Uefa, e di conseguenza l’ultima in cui sarebbe stato possibile mettersi in pista per il giro di lancio: entrare nel primo triennio con un deficit elevatissimo vorrebbe dire, di fatti, non poter investire per due anni, e per le squadre italiane di livello internazionale questo sarebbe un colpo senza precedenti.

INTER ? La società di Corso Vittorio Emanuele, invece, sembra aver avuto gli occhi ben aperti in merito a tale questione. Se nel 2006-2007 il disavanzo era stato di oltre 200 milioni di euro e nei due anni successivi si aggirava intorno ai 150, a partire dall’approvazione del FFP si è avuto un netto calo del deficit annuo. Fondamentali sono stati in questo senso i successi del biennio targato Mourinho: a partire dai quelli sul campo fino a giungere alle plusvalenze delle cessioni (quella di Ibra è valsa da sola ben 53 milioni), ai ricavi degli incassi delle partite casalinghe di Champions (18 milioni) e ai premi per le numerose vittorie. Tutto ciò ha portato dai 150 milioni di passivo del 2009 ai 69 del 2010 e ai 55 di quest?anno. Ovviamente a questi risultati si è giunti sempre grazie agli aumenti di capitale targati Moratti, ma hanno inciso anche un mercato oculato e ricco di sacrifici (Eto?o, Balotelli, Ibrahimovic) e le vittorie ottenute nonostante le cessioni importanti.

NEL RESTO D?EUROPA ? Il problema fondamentale del calcio di casa nostra è che le squadre più importanti non hanno introiti simili a quelli delle superpotenze europee: il Real arriva a contabilizzare ricavi per 450 milioni all’anno, il Barca per 430, il Manchester per 360; il Milan invece raggiunge circa i 210 milioni, mentre la stessa Inter è arrivata fatturarne 320 solo nell’anno del Triplete. I motivi sono molteplici. In Spagna, per esempio, esiste una legge che garantisce agevolazioni fiscali ai club, permette l’azionariato popolare e valuta i versamenti dei soci non come aumenti di capitale ma come ricavi: il vantaggio è che i club possono far passare per fatturato somme di denaro che in Italia sono annoverate fra i costi. Inoltre in Spagna, Inghilterra, Germania e Francia la maggior parte delle società gestisce stadi di proprietà e questo, oltre a esentarle dalla spesa di affitto dell’impianto sportivo (Inter e Milan pagano 7.5 milioni all’anno al comune di Milano per giocare a San Siro), garantisce un aumento degli utili anche grazie alla valorizzazione degli spazi all’interno della struttura durante tutta la settimana. In Italia, in oltre cento anni di calcio, mai nessuna squadra ha avuto uno stadio tutto suo, se si esclude il caso recentissimo della Juventus. Magari in futuro le cose cambieranno, forse anche perché per la Uefa i fondi destinati alla costruzione di nuovi impianti, così come gli ingaggi di giocatori under 18, non saranno considerati come spese all’interno del bilancio: ulteriori incentivi, questi, per cambiare rotta e metterci al pari delle grandi d?Europa?

Gianluigi Valente