17 Aprile 2020

Chivu ricorda: “Sneijder era devastante, io in Olanda mangiavo solo schifezze! Mentalità? Campioni teste di c***o non ne ho mai viste”

L'ex difensore nerazzurro ha risposto a tante domande durante una diretta su Instagram

Intervenuto in diretta su Instagram ospite dal profilo di Performance Training Studio, Cristian Chivu ha ricordato alcuni episodi della sua carriera da calciatore, rivelando gli obiettivi che man mano si è prefissato fin da inizio carriera e raccontando alcuni aneddoti divertenti. Ecco le sue parole.

Allenatore – “Io ho imparato da tutti, ognuno diverso dall’altro. Da Capello a Spalletti, Gigi Del Neri, Mancini, Mourinho, Leonardo, Mazzarri, Stramaccioni. Da tutti ho imparato qualcosa! La diversità secondo me porta sempre a far migliorare tutti, perché una squadra rende bene quando ogni giocatore preso singolarmente migliora. Con qualcuno sei d’accordo, con qualcun altro no, ma è normale, soprattutto verso fine carriera dopo 1000 battaglie disputate dalle quali hai imparato tanto. Ad ogni modo c’è sempre da imparare, anche quando sembra non sia possibile farlo”.

Soddisfazione calcistica – “Ne ho tante, ho anche iniziato giovanissimo. A 16 anni volevo arrivare a giocare in Nazionale, e l’ho raggiunta a 18 anni. Poi passando all’Ajax volevo vincere qualcosa per poter andare in un altro campionato, e arrivai a Roma. Bisogna sempre avere obiettivi e stimolarsi a step, per farti svegliare la mattina e fare la stessa cosa. Poi una volta arrivato all’Inter ho vinto tantissimi trofei, ed alla fine volevi arrivare a vincere la Champions, cosa che siamo riusciti a fare. Purtroppo non ho mai giocato il Mondiale, però mi sono tolto tante soddisfazioni anche con la Nazionale, raggiungendo 75 presenze di cui 50 da capitano”.

Delusione più grande – “Se proprio devo dirne una direi proprio il fatto di non aver mai partecipato a un Mondiale. Poi per il resto di grandi delusioni sento di non averne avute, anche perché dalle difficoltà bisogna ricavare degli stimoli per rialzarsi sempre più forti. Arriverò a 60 anni raccontando ai miei nipoti cosa ha fatto il nonno durante la sua carriera! Poi è chiaro che non si può essere al top in tutto: ad esempio Chivu all’Inter non può essere paragonato a Milito o a Zanetti, però l’importante per me era guadagnarmi la stima dei miei compagni per l’impegno e le mie qualità umane”.

Mentalità – “È fondamentale. Io grandi campioni con teste di c***o non ne ho mai visti, ho sempre visto grandi campioni essere anche grandi persone. L’umiltà è quella che ti porta a guardarti allo specchio e non accontentarti mai di quel che vedi. Ti porta a lavorare tanto e pensare sempre a quello che puoi ancora fare, piuttosto che a quello che hai già fatto”.

Allenatore – “È diverso, perché da calciatore ero responsabile solo per me stesso, mentre ora non posso più permettermelo. Sono responsabile anche dei 23 ragazzi che ho, dovendo passare loro la passione che ho e l’idea di dover superare le difficoltà. Abbiamo l’obbligo di farli crescere anche come persone. Oggi sognano tutti la Serie A, ma devono capire che non è scontato arrivarci. E il fatto che in pochi ci arrivino, non significa che fare attività sportiva in una società come l’Inter, da giovanissimi, sia inutile. Da questa possono apprendere gli insegnamenti che serviranno loro per la vita e per il futuro. L’obiettivo del settore giovanile dell’Inter è crescere uomini, non solo vincere le partite”.

Chivu parla di Esposito e dell’Inter

Esposito – “Lui è giovane ed ha tanto da imparare, però ora ha la possibilità di farlo in una squadra di professionisti di altissimo livello. Il sacrificio è la rinuncia a tante cose per raggiungere degli obiettivi. Non si può avere tutto dalla vita. Poi sulle qualità del ragazzo non c’è da discutere!”.

Attaccante più forte – “Mi sarebbe piaciuto incontrare Seba Esposito! Le giocate le ha, non a caso è già nell’Inter dei grandi. I difensori, per far vedere la loro grinta, nei primi 10 minuti picchiavano gli attaccanti, anche perché all’inizio difficilmente l’arbitro avrebbe ammonito. Oggi i difensori amano di più la fase di costruzione, però devono anche fare i difensori! Io ho avuto la fortuna di giocare in un periodo con attaccanti del calibro di Ronaldo, Kluivert, Van Nistelrooy, Vieri, Crespo, Inzaghi, Shevchenko! Ho sempre apprezzato gli attaccanti che riuscivano a dare qualcosina in più anche dal punto di testa della mentalità e della lettura”.

Movimenti – “I grandi attaccanti chiedevano ai compagni di servirli sul secondo movimento, non sul primo. I difensori, infatti, marcavano molto stretti, e quindi si usava questa tattica per superarli. Il calcio non si gioca senza testa, non si può guardare solo la palla. Per me la cosa più facile era giocarla a Sneijder, conoscevo i suoi movimenti e lui conosceva le mie qualità. Ci fidavamo reciprocamente dell’altro. Poi in televisione sembra facile, soprattutto quando l’avversario è a una certa distanza, ma in campo sai che in una frazione di secondo te lo ritrovi attaccato!”.

Allenamenti – “Bisognava arrivare all’obiettivo dicendo: ‘Oggi devo concentrarmi sul migliorare anche solo dello 0,01% rispetto a ieri’. In partita, poi, si gioca in base a come ci si è allenati tutta la settimana. Il lavoro paga, sempre”.

Qualità per diventare un giocatore top – “Io ho avuto l’ambizione. Naturalmente la natura una buona base me l’ha data, anche se io ho lavorato tanto, soprattutto grazie a mio papà che mi ha trasmesso la cultura del lavoro. Le due ore di allenamento non mi bastavano, alla fine mi prendevo un’altra mezz’ora per fare i gradoni o crossare di continuo. Lui non mi diceva mai: ‘Sei un talento, è l’allenatore che non capisce niente’. Bisognava allenarsi, magari cercando di imitare i nostri idoli in televisione. Il calcio è diverso, non è solo tecnica. Poi sono migliorato anche cambiando ruolo: io ho fatto la prima punta fino a 14 anni, poi il trequartista, l’ala, il mediano, e alla fine terzino e difensore centrale. Così ho allenato il cervello e l’ho migliorato con le situazioni di gioco diverse che ogni ruolo aveva”.

Ajax – “La scuola Ajax mi ha aiutato molto, perché lì ti insegnano proprio a giocare a calcio, anche cambiandoti ruolo. Ti migliorano senza importi cose studiate a tavolino senza discutere”.

Alimentazione – “Ora è fondamentale, ma una volta non era così (ride, ndr). Quando giocavamo di sera, ad esempio, io e Ibrahimovic pranzavamo spesso in un ristorante cinese, mentre la merenda era un sandwich con bacon, maionese e salse piccanti! Secondo me però è questione di abitudine, ti regoli in base a quello che sei abituato a mangiare. All’Ajax ero un po’ sovrappeso, perché mangiavi quello che ti pareva. A 20 anni, a casa da solo, figuratevi se mangiavo cose sane! Quando arrivai in Italia pesavo 85 kg, avevo un chilo e mezzo in più della mia norma. Durante il durissimo ritiro estivo con Capello e Neri mi chiedevo: ‘Ma chi me l’ha fatto fare?’. In Olanda invece ci si allenava giocando, sempre con la palla. In Italia ho finito il ritiro che pesavo 78,5 kg! Ho fatto una fatica incredibile, però fisicamente stavo benissimo. Poi con l’introduzione dei nutrizionisti il calcio si è sviluppato, e devo dire che anche io ho avuto dei benefici. Mi spiace solo aver iniziato questo programma tardi, anche perché ho scoperto a 26-27 anni che i problemi fisici avuti prima erano colpa dell’eccessiva massa grassa”.

Scaramanzia – “Spesso nessuno ammette di averne, però in realtà molti ne hanno! All’inizio, in Olanda, no. Poi in Italia, a Roma, ce ne erano tantissimi! Poi alla fine ti accorgi di esagerare anche, fino a combattere contro te stesso. Quando conobbi mia moglie, vidi che i suoi genitori avevano in casa un gatto nero! Trovarselo la mattina appoggiato sopra la testa non aiutava, però poi passa tutto (ride, ndr). Usavo sempre lo stesso paio di mutande per le partite, mi mettevo le calze in un certo modo, andavo in bagno a bere il caffè e fumare una sigaretta. Ne avevo tante anche io, però è meglio non averne, perché se poi una volta ti dimentichi di fare qualcosa giochi male perché continui a pensare solo a quello!”.

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