24 Ottobre 2014

L’insostenibile diversità dell’Internazionale

Da Herrera a Mou, nel segno della ribellione al sistema

All’Inter è sempre mancata la normalità. Quel principio di filosofia calcistica libero dalla pazzia. La capacità di adagiare gioco ed emozioni su un letto di gestione ordinaria. I calciofili la chiamano ?regolarità?.

I commentatori più ordinati la osannano, la normalità, come condizione indispensabile per ottenere risultati. Vincere con le così dette piccole, per esempio. Negli annali del calcio non troverete mai la Juve che perde 4 a 1 in casa con un Cagliari qualsiasi. Pareggiare qualche partita fuori casa, altro esempio di regolarità. E poi, naturalmente, vincere gli scontri diretti con le squadre di pari livello.

La anomalia è l’Inter, anche perché è anticiclica. O meglio: è fuori dal sistema. In più di un secolo di storia non incontrerete mai un Rocchi che gli regala tre goal. L’Inter vince, quando vince, rompendo regole (regolarità) e schemi preordinati di potere. L’interismo, per dirla alla Severgnini, è simbolo filosofico di contraddizione. Herrera e Mou le icone di una frontiera quasi anarchica e insubordinata. Nessuna prostituzione intellettuale, pura libertà di pensiero. Ecco perché le sconfitte sono così drammatiche, i momenti difficili così imperscrutabili. L’Inter è affascinante nella sua passionale anormalità. Così come le sue vittorie non sono mai banali.

Nedved attacca Totti perché, gli spiega, non sa cosa è la Juventus. O meglio secondo il ceco, ?il capitano? non avrebbe capito che alla Juve vincere è scontato, normale, quasi dovuto. Appunto. Il contrario della imprevedibilità, del genio calcistico, dell’amore per un campione. Per Nedved il campione non è Totti, ma la Juventus. Si è convinto che il calcio debba avere uno spartito. Tutto già scritto prima di giocare.

Per questo tifare altro è durissima, quasi come un amore impossibile.

Se l’Inter fosse una rivoluzione sarebbe messicana, carica di fascino popolare, di passione civile, di sogno estremo. Ma il calcio, che tanto banale non è, si presta alle rivoluzioni poche volte nella storia. Tutto il resto è Mazzarri. Tutto il resto è noia, direbbe il Califfo.

Certo, il materiale umano non è di primissimo livello. Ma la follia congenita di una squadra sempre spettacolare, anche nelle crisi, quella manca a tutti. Il tifoso interista è di bocca buona, abituato alla giocata risolutiva, all’accelerazione che è sinonimo di campione. Manca il talento. Presente in alcuni, pochi. Barattato nel complesso da una solidità che ancora latita. La difesa traballa, gli esterni, fulcro del 3-5-2 non puntano l’uomo. La superiorità numerica è un ricordo dei piedi più nobili e degli anni che furono.

Mazzarri non è il colpevole, certo ci mette del suo. Non piace alla stragrande maggioranza degli interisti perché è per sua stessa natura diverso dall’Inter. L’Inter è genio e follia, Mazzarri è un uomo concreto, duro, senza dubbio vero. Insomma è la storia degli estremi, possono attrarsi e diventare un unico, respingersi e non incontrarsi mai all’infinito. Solo il tempo possiede le risposte.

Bisogna azzerare il passato. L’Inter di Thohoir è profondamente differente. Non sappiamo ancora se sarà migliore o peggiore. Senza dubbio è diversa. A cavallo di un passaggio di generazioni e sentimenti. Il calcio che diventa business. La passione che cede il passo alla matematica, all’economia.

In mezzo a tutto questo c’è il tifoso. Affamato e nostalgico, forse. Insoddisfatto, senza dubbio. Ci vorrà del tempo per capire in che strada stiamo andando. Per ora, dopo il saluto di Moratti, che la storia nerazzurra l’ha scritta, non ci resta che sostenere una squadra che ne ha bisogno.

I conti, come è giusto fare, li tireremo a fine stagione. Ci vorrà pazienza e molta sofferenza. Ma è un pegno d?amore che il tifoso Interista ha scelto di pagare anni fa. Per concludere vi propongo una citazione di Luigi Garlando, giornalista e grande interista: ?E? dallo stile e dall’eleganza del cuore che si distinguono gli interisti. Noi interisti siamo artisti pazzi, nati sotto la luna piena di marzo, ma il nostro cuore è una spugna immersa nel coraggio?.

 di Gianmarco Blasi