2 Novembre 2014

PELLICOLE NERAZZURRE – Il discorso di Re Ranocchia: dalle incertezze al trono nerazzurro

Focus RanocchiaHai timore? Non bisogna mai avere timore“.

Timore,paura, peso delle situazioni, schiave di una gravità tale da divenire veri e propri macigni. La vita del capitano, come quella del re, si sa, è fatta di responsabilità inderogabili e di attenzioni che volenti o nolenti, penderanno sul capo del sovrano, di chi appunto sta a capo, rappresentando un gruppo, che sia il Regno Unito o l’F.C. Internazionale.

Il parallelo cinematografico-sportivo di oggi collega il percorso di crescita di due leader: Giorgio VI, Sovrano del Regno Unito fino al 1952 ed Andrea Ranocchia, capitano della nuova Inter di Erick Thohir. Re Giorgio VI, per chi non lo sapesse, è il protagonista dell’apprezzatissima pellicola “Il discorso del Re“, film del 2010( QUI il trailer) che racconta l’evoluzione del principe Albert (divenuto poi Giorgio VI), secondogenito di Giorgio V e convivente forzato di un evidente e marcato problema di balbuzie che ne compromette la vita pubblica. A cambiare la vita del protagonista interpretato da Colin Firth sarà il terapeuta Lionel Logue, che grazie ad alcuni metodi innovativi riuscirà ad infondere nello scettico Bertie la fiducia necessaria per affrontare, una volta divenuto re, un discorso all’intera nazione nell’immediato pre-guerra, superando le paure che ne avevano contraddistinto l’intera esistenza. Andrea Ranocchia conosce il peso di quella fascia, forgiata dal fabbro Zanetti dopo un amore durato quasi vent’anni. Essere capitano dell’Inter non è mai facile, esserlo dopo Zanetti è la sfida della vita. Sfida nella sfida quindi, perché il buon Andrea, oltre alle logiche difficoltà del ruolo, specialmente in un’Inter incerta ed insicura almeno quanto l’Albert d’inizio film, deve fronteggiare il peso di una carica appartenuta ad un vero e proprio totem nerazzurro, quintessenza del ruolo di leader, talmente legato al mondo Inter da divenirne il nuovo vice-presidente dopo praticamente pochi giorni dall’addio al calcio giocato.

Eppure la fascia non ha avvolto il braccio di Andrea per caso, così come è innegabile che lo stesso ragazzo abbia dovuto aggirare una serie di ostacoli di varia natura nella propria avventura nerazzurra: arrivato sotto la gestione Leonardo nell’immediato post-Triplete nella famosa operazione che segnò il definitivo addio di Mattia Destro alla casa base nerazzurra, ha avuto subito modo di mettersi in luce in una squadra reduce si da una stagione incredibile dove si è di fatto vinto quasi tutto il vincibile, ma sfiduciata e lentamente crollata sotto i colpi della non fortunata gestione Benitez. Conquistata anche la maglia della Nazionale, vestita a singhiozzo dal 2010 in poi, il giocatore rimane tutt’ora il più grande investimento nerazzurro per il reparto di competenza. Eppure ci sono stati momenti in cui l’investimento è parso non particolarmente fruttuoso per la causa nerazzurra, specialmente nel corso dell’ultima stagione targata Mazzarri, dove il ragazzo ha più volte conosciuto l’amaro gusto della panchina, complice anche l’inattesa ed imprevedibile esplosione dell’oggetto misterioso Rolando. Andrea non gioca tantissimo, e quando viene schierato dal primo minuto non finisce mai nella lista dei promossi a pieni voti: spiccano infatti più errori individuali, su tutti quello nella trasferta dell’Olimpico contro la Lazio sulla voleè di Klose, in un momento particolarmente difficile per la squadra di Mazzarri.Andrea non molla, accetta le decisioni dell’allenatore e si allena sempre da professionista esemplare, tanto da finire comunque nella lista dei pre-convocati di Prandelli in vista del Mondiale 2014, dalla quale viene però escluso sul gong rimanendo designato come “riserva”in caso di eventuali forfait dell’ultimo minuto: non proprio un ruolo d’elite.

Ed eccoci quindi alla nuova Inter, alla banda Mazzarri orfana dei “senatori”, pronta a ripartire dopo un quinto posto che non infiamma le platee ma rimane l’obiettivo minimo prontamente raggiunto e dal quale ripartire. Proprio come nel film, dove fondamentale risulterà l’impulso del terapeuta Lionel Logue, decisiva in casa nostra sarà la fiducia dell’ambiente nerazzurro nei confronti del numero 23 ( altro paragone curioso con il film, l’eterno e continuo paragone  con lo storico 23 nerazzurro Marco Materazzi , alter-ego sportivo al quale il calciatore si ispira, corrispondente al quotato e potente fratello di Albert, Edoardo VIII interpretato da Guy Pearce, protagonista dell’iniziale eclissi di Bertie e della sua passività nei confronti della patologia ). Il personaggio probabilmente più vicino metaforicamente al logopedista australiano è Piero Ausilio, direttore sportivo nerazzurro da sempre sicuro sulle doti sportive e carismatiche di Ranocchia, tanto da investirlo quasi pubblicamente nel corso della conferenza stampa che apre le porte alla stagione 2014/2015. Anche Mazzarri pare voler puntare sul giocatore nonostante la non entusiasmante stagione precedente, e Andrea pare ripagare la fiducia del mister a suon di buone prestazioni nonostante il comunque particolare ed intenso inizio di campionato. La fascia sembra aver responsabilizzato il ragazzo, attento e cattivo quando necessario, disposto anche al sacrificio tattico in caso d’emergenza,e recentemente ripreso in considerazione dal nuovo Commissario Tecnico Antonio Conte, da sempre estimatore del ragazzo sin dai tempi del Bari.

Proprio come nella pellicola, obiettivo finale ed il  mezzo per raggiungerlo sembrano coincidere, destinati ad incontrarsi dopo un percorso parallelo: il Re diventa grande e responsabile grazie al percorso fatto, capace di regalargli la sicurezza e la determinazione nell’affrontare una situazione che sembrava lontana anni luce a causa delle difficoltà. La fascia invece, raggiunta dopo qualche incertezza e qualche attimo di buio, esorcizzati dal grande lavoro e dalle immense virtù morali,  responsabilizza il ragazzo regalando ai propri tifosi un  un giocatore nuovo ed un uomo maturo. Camminare, correre, remare senza mai mollare, verso il proprio obiettivo, verso il proprio cielo, di qualunque natura esso sia.Perché , parafrasando il filosofo tedesco Goethe, un traguardo va raggiunto senza fretta, ma soprattutto senza sosta.