4 Marzo 2017

Mancini: “Ho vinto dove è difficile vincere. Diventare allenatore è come proseguire con la vita”

Le parole di Roberto Mancini, ex allenatore dell'Inter, sulle sue esperienze da calciatore e allenatore
intervista mancini

Roberto Mancini, ex allenatore dell’Inter, si è raccontato in un’intervista al Corriere dello Sport. Ecco le parti salienti:

VINCERE OVUNQUE“La mia fortuna è stata aver vinto in città dove è difficile vincere o dove non avevano mai vinto. Una cosa bella“.

RANIERI – “Penso che abbiano sbagliato. Perché Ranieri ha fatto una cosa che non avverrà più nei prossimi mille anni. E ra più giusto retrocedere con Ranieri per poi tornare di nuovo in Premier League. Perché in Inghilterra non è che facciano un dramma se retrocedono un anno. Poi non è detto che sarebbero retrocessi con Ranieri. Ma lui ha scritto una pagina, per quella squadra e quella comunità, che resterà per sempre nella loro storia. Avevano il dovere di trattarlo in un altro modo. Quando cambiano gli allenatori, i giocatori devono darsi da fare perché altrimenti rischiano. Io, sinceramente, non ho mai visto un giocatore giocare contro l’allenatore. Però nella vita tutto ci può stare“.

DIFESA – “Il giocatore più forte giocava in squadra con me, fortunatamente. Era Pietro Vierchowod. Però diciamo che in quell’epoca difensori forti ce ne erano. In quegli anni, in generale, in Italia giocavano tutti i migliori giocatori del mondo. Dei difensori, Ferri era tostissimo da passare. Come Baresi, Maldini. Ce ne erano di difensori forti in Italia, all’epoca. I difensori sono sempre cattivi. Non esistono difensori buoni. Diciamo che probabilmente i difensori più cattivi erano quelli dei primi anni ottanta. Quando cominciai a giocare. Allora potevano fare dei falli efferati, che ora sarebbero ragione di espulsione. Pasquale Bruno era tosto, però era più scenografico. Faceva dei falli spettacolari, però era un bravo ragazzo“.

GOL PIU’ BELLO – “Io sono affezionato a due gol. Quello di tacco a Parma e un gol al volo a Napoli quando con la Samp vincemmo lo scudetto. Vincemmo 4 a 1 contro il Napoli di Maradona“.

PRIMA VOLTA IN NAZIONALE – “Io sono andato in Nazionale la prima volta con Bearzot nel 1984, a venti anni. Poi una notte uscii a New York, quando eravamo in tournée, lui si arrabbiò, io non lo chiamai per scusarmi e così persi i mondiali dell’86 in Messico. Poi con Vicini facemmo gli Europei dell’88, i mondiali del ’90, poi potevo fare quelli del ’94 ma cambiarono gli allenatori. Purtroppo in quei tempi eravamo tanti ad essere bravi e quindi l’allenatore qualcuno bravo lo doveva sempre lasciare fuori, purtroppo. Io ero quello che stava fuori. Ho avuto un buon rapporto con lui, anche perché Sacchi è stato un bravissimo allenatore. Però poi preferì altri giocatori e io lasciai la Nazionale, sbagliando“.

ALLENATORE – “Il bello è che si può continuare a stare su un campo di calcio, avere tutti i giorni un pallone tra i piedi, vedere giocatori giovani, fare delle cose belle, poter insegnare a questi giocatori quello che uno ha imparato nella propria vita, quello che ha nel suo bagaglio tecnico. E’ difficile staccarsi dall’essere stato un giocatore di serie A. Diventare allenatore è come proseguire quella vita, in un modo diverso. Credo che la cosa fondamentale sia quella di pensare sempre positivo, di pensare che la nostra squadra debba essere una squadra che attacca, si diverte, gioca comunque in fase offensiva. A volte quando vedo che si allenano male.Questo può accadere. Perché può capitare un giorno che la squadra si alleni male. Questo mi dà un po’ fastidio perché a volte i giocatori sono giovani e non capiscono quanto sono fortunati. Non si rendono conto che giocare a calcio è un tempo abbastanza breve della vita e che, quando smetteranno, rimpiangeranno quei momenti. I momenti dell’allenamento, che poi sono i momenti più belli perché uno può fare quello che vuole, senza pensare al risultato“.

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