9 Marzo 2018

L’Intertinente – Una parentesi d’amore lunga 110 anni

Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza di essere nerazzurri

Sembra grottesco, ma è così: il 9 marzo denuda l’inadeguatezza di trovare parole che siano puntuali, attributi che siano pertinenti, termini che siano adatti. Piuttosto, meglio affidarsi al silenzio, con cui si contempla la semplicità di un amore e la sua straordinarietà di addolcire e di rallegrare la vita.

Concretamente, non c’è maniera di ridurre l’immensità dell’Inter ad una mera e fugace descrizione giornalistica, concettuale, o nozionistica, perché risulterebbe sommaria, raffazzonata, ingenerosa, irriguardosa, rispetto all’ultra centenario passato di qualcosa di più: un’esperienza di gioia inarrestabile, un racconto di un impeto travolgente, una prosa d’emozione aggregante, un fuoco costantemente animato dall’ardore della passione.

Basta convincersi, dunque, che la rilevanza dell’Internazionale sia di gran lunga superiore all’ambizione di tracciarne le sfumature. D’altronde, nemmeno 110 anni sono stati sufficienti a proiettare un’equa idea delle proporzioni di un sogno a tinte nerazzurre ove ascese, successi, giubili, e trionfi hanno convissuto con cadute, crolli, tragedie calcistiche e traumi sportivi.

Per meglio dire, le dimensioni di una narrazione che, dal ritrovo a “L’Orologio” all’insegna di un’alternativa di pensiero – elemento di fregio del tifoso interista -, è divenuta leggenda e vanto, melodramma e catastrofe.

Perché l’Inter è soprattutto questo, ossia un’oscillazione eterna tra paranoia e devozione, tumulto e declino, nobiltà e sconcerto, onore e nostalgia, gloria e rispetto, nel nome di Giuseppe Meazza, di Sandro Mazzola, di Armando Picchi, di Helenio Herrera, di Beppe Bergomi, di Walter Zenga, di Nicola Berti, di Lothar Matthäus, di Javier Zanetti, di Ivan Zamorano, di Diego Simeone, di Ivan Cordoba, di Marco Materazzi, di Dejuan Stankovic, di Roberto Mancini, di Esteban Cambiasso, di José Mourinho, e di un popolo mai pago di paladini che difendano la testimonianza di un affetto incondizionato. “Signori, siam nerazzurri e ne andiamo fieri”!

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