21 Aprile 2016

FOCUS – A.A.A. cercasi campioni: servono altri Miranda

La rincorsa dell'Inter verso il terzo posto si ferma a Genova. Ora è tempo di riflessioni per il futuro: servono almeno altri due campioni per rendere la squadra davvero competitiva.

Ci risiamo, la storia si ripete. Ogni volta che si arriva ad una partita chiave, ad un match che non può essere sbagliato, si fallisce. Ormai siamo diventati prevedibili, quasi monotoni.
La sensazione del “film già visto” era forte al termine del primo tempo di ieri a Genova: alla stragrande maggioranza dei tifosi nerazzurri infatti, sarà tornata alla mente la sfida persa contro il Sassuolo. Portieri che si trasformano in eroi per una notte, salvo poi perdere i superpoteri e ritornare sul pianeta Terra nei match successivi (vero Consigli?), occasioni incredibilmente divorate dai nostri attaccanti, mancanza di cattiveria e cinismo, sana dose di sfortuna, insomma tutta una serie di ingredienti che abbiamo imparato a conoscere. Sappiamo bene che la pietanza cucinata finirà per andarci di traverso ed anche ieri non siamo venuti meno a questa tradizione decisamente “poco simpatica”.

Miranda

Genoa-Inter può essere considerata il manifesto della nostra stagione: tutti i limiti che si sono palesati nel corso del campionato, sono emersi implacabilmente nella sfida contro l’ex di turno – con il dente avvelenato – Gianpiero Gasperini.
Se per 60′ domini il Genoa, ma non riesci a segnare neanche un misero gol, pur avendo diverse occasioni per costringere Lamanna a raccogliere il pallone in rete, significa che ci sono dei problemi evidenti. Limiti strutturali che non si possono risolvere con il lavoro, ma che necessitano di interventi diversi per poter essere colmati.
A questa Inter mancano maledettamente dei leader, dei calciatori in grado di prendersi la squadra sulle spalle nei momenti di difficoltà, di decidere con una singola giocata le sorti di partite complicate, insomma in sintesi, mancano dei campioni.
L’identikit perfetto in questo caso porta il nome di Miranda: il calciatore brasiliano infatti è il prototipo del leader che serve all’Inter di Mancini. Esperto, carismatico, di grande qualità. Di Miranda però, ne servirebbero almeno altri due, uno a centrocampo e l’altro in attacco. Calciatori in grado con la loro sola presenza di far lievitare le prestazioni e l’autostima degli altri elementi presenti in rosa.

Nonostante certi scivoloni potrebbero finire per far prevalere il pessimismo, nella convinzione che questa Inter sia ancora troppo lontana dall’essere una squadra competitiva per i massimi traguardi, la verità è un’altra: finalmente, dopo diversi anni, abbiamo una solida base sulla quale ripartire, un nucleo di calciatori sui quali costruire il futuro. Tutto ciò però non basta, ora manca il passo decisivo, quello che rappresenta la svolta: siamo arrivati a 30 (forse 29), dobbiamo arrivare a 31, e sono proprio questi ultimi passi ad essere i più complicati da compiere. Per tornare nei posti che ci competono non basteranno i Soriano, gli Erkin o persino i Banega: si tratta infatti di calciatori più o meno buoni – l’argentino in particolare potrà rivelarsi molto utile – ma non di campioni. E all’Inter di oggi servono quelli, perché sono proprio i nuovi Miranda che potranno farci compiere l’ultimo salto di qualità che manca.

genoa inter mancini

Tale ragionamento è ancor più valido se poi – come è probabile che accada – sulla panchina dell’Inter dovesse sedersi ancora Roberto Mancini. Il tecnico di Jesi ha dimostrato di saper vincere, di saper gestire uno spogliatoio fatto di campioni – qualità non semplice da trovare in un allenatore – ma allo stesso tempo ha palesato alcuni limiti: di certo non è il tipo di tecnico in grado di far rendere la squadra oltre le proprie possibilità, non riesce ad esaltare i calciatori a sua disposizione attraverso un sistema di gioco ben organizzato. Riesce però a far rendere al massimo i campioni, a costruire squadre vincenti se il materiale umano è di alto livello. Può sembrare semplice, ma non lo è: le pressioni che si devono sopportare nelle grandi squadre e nel rapporto con i campioni non sono facilmente gestibili da tutti, anzi.
Si tratta però di avere ben chiaro in mente le caratteristiche del proprio allenatore e di metterlo nelle condizioni migliori per raggiungere i risultati ai quali il club ambisce. Mancini non è Simeone, non riesce nella moltiplicazione dei pani e dei pesci, ha bisogno di campioni e se si vorrà continuare con lui, dovremo darglieli. Meglio che tutti in società abbiano ben chiaro in mente questo assunto, tanto semplice, quanto importante: dobbiamo avere le idee chiare ora, prima che sia troppo tardi per cambiare rotta.