8 Ottobre 2012

EDITORIALE – Diventare grandi

di Gianluigi Valente

Il giorno dopo una vittoria nel derby ci si sveglia sempre con quella paradossale sensazione di essere stati in campo e di aver contribuito in modo determinante al successo: ci si alza dal letto, si fa colazione e si inizia la giornata con ancora la gocciolina di sudore che scende sulla tempia, segno evidente di una fatica felice. Soprattutto oggi, dopo aver avuto per quasi novanta minuti le coronarie in sofferenza, quella sensazione è viva più che mai e vorremmo non finisse, per tanti motivi.

CHI – A vincere la stracittadina di ieri è stato chi è migliorato di più in questa prima parte di stagione: se vogliamo, una giusta ricompensa. In cinque mesi effettivi di lavoro con la squadra Stramaccioni ha cambiato vari moduli e mandato in campo tante formazioni diverse; si è evoluto, e con lui tutta l’Inter. Niente integralismi, niente torture tattiche, niente pregiudizi e, come è normale che sia, qualche errore. Ma sbagliare significa anche crescere e negli ultimi due anni i nerazzurri non erano cresciuti mai così tanto. A vincere il derby è stato chi ha capito che qualche volta è giusto sacrificare le proprie idee per trovarne altre e constatare l’audacia di quelle vecchie da lontano; ha esultato chi si è ricreduto e chi è maturato.

COME – Se è vero, poi, che una vittoria assume la sua importanza in base alle condizioni in cui arriva, quella di ieri allora è stata certamente la più rilevante del 2012. Per carità, non che i derby del gennaio o del maggio di quest’anno siano stati meno belli, ma quello di ieri ha un sapore completamente diverso. Quello stesso sapore che chi segue i nerazzurri percepiva una sera d’aprile di due anni fa: come a Barcellona, in inferiorità numerica è emersa la voglia di graffiare l’avversario con le unghie di un centrocampo strenuo e di morderlo con i denti di una difesa granitica. La stessa grinta e convinzione che, negli appuntamenti da non fallire, a Zanetti e compagni mancava da troppo tempo. L’interista è felice non solo perché ha battuto i cugini, ma perché lo ha fatto in un certo modo.

QUANDO – C’è un dato, però, che accomuna l’Inter e il Milan di quest’anno: entrambe si sono trovate a dover restaurare le loro vie e le loro ambizioni dopo anni ai vertici; in questi casi il tempo se da un lato serve, dall’altro stringe. Che la settima giornata sia nettamente più vicina all’inizio del campionato che alla sua fine è un dato di fatto, ma chi vince un derby svolta sempre. Ecco perché in una fase come questa, in cui Juventus e Napoli sembrano due schiacciasassi senza rivali, era importante che qualcuno desse un segnale non solo a loro ma a tutto il movimento calcistico italiano. La banda-Stramaccioni si è quindi munita di cartoncino e pennarello e ha scritto con forza di essere ormai diventata squadra e di poter far male non solo proponendo champagne e bollicine, ma anche cuore a corsa. E farlo alla settima giornata equivale a tenere aperte tutte le porte del mondo.

FUTURO – Porte aperte a parte, per alcuni il tripudio interiore post-derby dura più di una o due notti, ma sono passate ventiquattro ore dal derby e la nostra mente corre già al futuro. I novanta minuti di ieri avranno un senso solo se ad essi ci sarà un degno seguito. Come dicevamo, la svolta era dietro l’angolo e il successo è sicuramente un gran viatico per chi vuole sognare. Ci piace sottolineare che nel post-partita Moratti ha definito il suo allenatore “un uomo con una notevole cultura del lavoro”: la nostra speranza è che questa caratteristica guidi il futuro più immediato. Perché le grandi squadre possono essere definite tali solo se, una volte arrivate, mantengono alto il loro livello. Da ieri l’Inter è tornata squadra: è ora di diventare grandi.