27 Luglio 2018

Acciòn Romantica – Buon compleanno Goran. E grazie per quelle notti eterne

La rubrica di Stefano Mazzi: "Perché gli interisti sono gli ultimi dei romantici"

 

Sono le 21:54 di un fine gennaio qualunque. Il calendario segna il 24 per la precisione, e qualunque interista su questa terra, quella notte, presente quella sera a San Siro, oppure collegato con uno streaming di merda da chissà quale spiaggia sperduta della Polinesia Francese, sta per capire cosa significhi essere immortale. Essere leggenda. Cosa vuol dire toccare l’eterno con un dito, per non lasciarlo più. Ci sono notti che rimangono dentro ben oltre un paio d’ore, oppure qualche giorno. Ci sono notti che a distanza di anni sono ancora lì, tu ti giri e loro sono lá, che ti sorridono e ti accolgono sulle loro gambe. Ci sono notti che anche se sono state vissute secoli fa, sembrano giusto accadute il giorno prima.

Loro sono vive, fresche, ancora pulsano, alimentate da un cuore che solo chi ha scelto Inter può capire cosa significano. Solo chi è innamorato ogni secondo della propria vita, ogni minuto più del minuto precedente, può conoscere. Ci sono scelte che cambiano per sempre il corso della storia, dell’umanità o del calcio, non ha importanza. Solo i geni, i poeti, gli eroi riescono a carpirle. A intuirle prima che loro se ne vadano per sempre dopo aver galleggiato davanti ai nostri occhi. Come quella sera di, ahimè, tanti anni fa, al Meazza, quando Josè Mourinho ordina al suo fidato Beppe Baresi di cambiare Goran Pandev per fare entrare Thiago Motta. È tutto pronto.

L’Inter è in dieci dopo un’espulsione indegna di Wesley Sneijder per un applauso all’arbitro Rocchi, ma questa ormai non é una novità. Appena prima del gol di Diego Alberto Milito da Bernal che al decimo del primo tempo ha irriso Ignazio Abate come da prassi e ha depositato sotto la Sud e alle spalle di Dida il gol del momentaneo 1-0 che resiste da cinquantacinque minuti. Niente di trascendentale, a dir la verità, per una squadra di eroi. Più forti di tutto. Più forti di tutti. Ecco allora che Thiago è pronto, ma non entra. Non ancora almeno. C’è una punizione dal limite, e anche se la temperatura rasenta gli zero gradi centigradi, San Siro ribolle di sentimento. Trasuda passione. Ecco che cos’è il genio. Pandev parte e disegna nell’aria di Milano un affresco che farebbe impallidire perfino il Cenacolo di Leonardo. 2-0. In 10. Mentre ogni interista del mondo capisce che quella sera non c’era niente da fare, non ce ne sarebbe stato per nessuno. Mentre ogni interista abbraccia l’interista accanto, come stessi componenti della più grande famiglia calcistica della storia. No. Neanche in 4, il portiere più tre compagni, ci avrebbero sconfitto. Niente. Nessuno. San Siro non ha più voce. Non ha più gola. Non ha più ragioni di vivere dopo una sera così. Pensava di aver toccato l’apice proprio una quindicina precisa di giorni prima, quando il gol di Walter Samuel ormai sotto la doccia aveva regalato contro il Siena una vittoria che forse non avrebbe auspicato neanche il più grande ottimista di noi, Peppino Prisco. Cosa può esserci di meglio dopo una notte così? La storia invece insegnerà ben presto che all’eroismo non c’è mai fine, come quello che succederà una notte di aprile in Catalogna, per esempio, qualche mese dopo, oppure una storica sera in Castiglia, a fine maggio. Dopo 45 anni.

Ma quella notte di fine gennaio Milano non aveva che due colori che pulsavano per lo stesso cuore. Neanche in 2 ci avrebbero sconfitti. Ci provarono, in realtà, ma niente. Come al quarantaseiesimo, quando il grande arbitro Rocchi espulse pure Lucio, regalò un calcio di rigore al Milan che si ritrovò così in 9 contro 11 a giocare un finale di partita che poteva clamorosamente riaprirsi. Ma Julio è lì, figlio di chissà quale Dio. E anche uno come Ronaldinho può farci niente, se non capirlo e arrendersi. Quella sera non ce n’era per nessuno. Per nessuno. Anche se non ci fossimo presentati. Ci sono notti che passano veloci e un minuto dopo sono già leggenda. Anche dopo anni che sono trascorse, ma se alziamo gli occhi, sono ancora lá, come quelle undici stelle, eterne, che non se ne andranno mai.

Tanti auguri, Goran Pandev

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