29 Settembre 2014

EDITORIALE – Nervi Sardi

Editoriale

Al fischio finale di Inter-Cagliari, solo una sentenza risuonava a fil di rete: #MazzarriVattene. Ancora una volta la stessa stucchevole litanìa degli ultimi 9-10 mesi per chiudere gli occhi di fronte ai problemi di uno spettacolo desolante appena visto concentrandosi sulla soluzione drastica, dettata da ansia e rabbia più che da lucidità e logica. E di problemi ne abbiamo visti diversi, a partire da chi di questa squadra dovrebbe essere leader e persiste nel giocare a nascondino, passando anche per chi è investito della fascia di capitano dai gloriosi trascorsi e incappa in sesquipedali sciocchezze che minano il lavoro, la giornata ed infine il risultato dell’intera squadra. Nell’1-4 che sa di crollo verticale, l’Inter non si è fatta mancare proprio niente, agitando i venti di bufera da parte di coloro che hanno la necessità di un capro espiatorio per illudersi di risolvere una situazione che, escludendo per un attimo il lecito caso isolato, di toppe ne ha bisogno davvero parecchie. E così, come in tutti gli ingranaggi che a un certo punto si inceppano fermando l’intera catena, è l’insieme di tante situazioni a fare la differenza.

NAGATOMBOLA – Che fine abbia fatto il diligente e compìto Nagatomo, ce lo stiamo chiedendo già da qualche settimana. Nella partita di ieri è sembrato già in apnea prima ancora di iniziare a fare sul serio, quasi come se fosse più concentrato sul fardello della fascia di zanettiana eredità più che sulle dinamiche di gioco. Con la sfortunata coincidenza di dover agire in collaborazione con un incommentabile Hernanes e uno spaesato Andreolli, si è perso immediatamente in un bicchiere di saké fornendo a Sau un assist insperato e sconcertante. L’harakiri si compie a seguito di un evitabilissimo fallo su Cossu che vale la doccia anticipata e l’inizio dell’incubo, visto che da lì in poi i compagni non ne azzeccheranno più una. Se Nagatomo oggi è questo tipo di giocatore, proporlo come titolare rasenterebbe il tafazzismo più sfrenato, sia per lui che per l’Inter: uno tsunami che già a Palermo ha rischiato di consegnare ulteriore gloria effimera al pur onesto Vazquez e che una settimana dopo ha fatto la frittata, pardon, il Tamagoyaki, nel giorno della risposta più attesa ed importante. Il primo ingranaggio a rompersi aveva la scritta Made in Japan e in un momento dove abbiamo già abbastanza capitani alla Schettino negli onori della cronaca, quella fascia non può andare sul braccio di chi lascia i compagni dapprima gelati e poi fritti, neanche si stesse preparando un Tempura. Con un pranzo così indigesto, cambiare il menu è d’obbligo. PROFONDO ROSSOBLU – Per una squadra come l’Inter, che ha vissuto di ossimori larghi tratti della sua centenaria storia, non è poi così paradossale che si faccia notte proprio nell’ultima partita dell’anno solare giocata di giorno. E nemmeno che incroci l’uragano Ekdal, a bordo di una nave che già al varo decretato dall’arbitro Banti non sembrava esattamente una corazzata. Qualunque cosa ci sia da sbagliare, da quel momento in poi, verrà immancabilmente sbagliata. Nel primo colpo che batte Ekdal gli undici giocatori dell’Inter si trasformano in manichini da vetrina chic, con tanto di gessato mentre in quello successivo pare addirittura una precisa scelta quella di non difendere, quasi fosse un surplus da scansare. Lo strazio prosegue con un rigore che Handanovic usa come molla psicologica per dare una svolta e che invece non sveglia i beati sonni della banda Mazzarri, mentre Ekdal è gentilmente omaggiato di un pallone da portarsi a casa, con trattamento da milionesimo cliente di un grande magazzino a cui tutto, ma proprio tutto è concesso. Chi alza gli occhi e vede un tabellone che segna 1-4 non sa ancora che tutti, ma proprio tutti i 4 goal che realizza il Cagliari sono siglati in situazione di superiorità numerica a favore dell’Inter, almeno nelle singole azioni: tre contro due, quattro contro due e via dicendo. Come se al gioco del ruba bandiera vi faceste fregare il fazzoletto dopo esserci arrivati in netto anticipo. E intanto i sardi giocavano con una tranquillità che neanche ai tempi di Gigi Riva e Manlio Scopigno esibivano, tanto da riuscire a segnare come mai al Meazza nell’arco di tutta la loro storia. Ansia da prestazione e cilecca completa, con buona pace dei proclami di Andrea Ranocchia poco più di 24 ore prima. I DOLORI DEL “GIOVANE” WALTER – C’è ovviamente una parte di Mazzarri in questa disfatta. Il tecnico toscano tanto giovane non è, ma la sua squadra pecca e stecca di personalità, come un adolescente catapultato all’improvviso nel mondo dei grandi. Non una grande idea proporre un Hernanes già ampiamente rivedibile nonostante il timbro messo sul match con l’Atalanta, così come non paga la scelta di rinunciare a Ranocchia che con la fascia di capitano pareva avere svoltato. Sarà lo stesso allenatore a parlare di scelte sbagliate di turnover, senza tuttavia saper esprimere a botta calda come si possa strapazzare il Sassuolo e farsi strapazzare dal Cagliari nello stesso mese e nello stesso stadio. Mentre su Twitter impazzava l’invito a preparare la valigia, in conferenza stampa Mazzarri invocava timeout tecnici, retaggio della tournée americana, come unico veicolo per riassestare una squadra in bambola più totale. Ci avrà dovuto dormire sopra prima di poter convenire con tanti osservatori della sanguinosa Domenica nerazzurra che alla sua squadra mancano ancora i leader capaci di condurre i propri marinai fuori dall’inatteso fortunale e che dieci minuti di follìa possono bruciare tanta terra attorno se ti chiami Inter e sei chiamato ad uscire da un pantano in cui i nerazzurri si sono arenati dopo i bagordi di qualche anno fa. Non nutriamo grossi dubbi sul fatto che risponderà il campo anche questa volta, rimane da domandarsi per quale motivo ci si debba porre degli interrogativi nel giorno in cui si aspetta la consacrazione della squadra: non è la prima volta. Nella deriva in cui pare finita la nostra tifoseria, l’Inter pare argomento di secondo piano: in primissima battuta il duello cieco e tendenzioso tra mazzarriani e antimazzarriani pare ormai aver preso il sopravvento su qualunque analisi lucida si possa formulare sull’insieme delle componenti che fanno la differenza tra una vittoria ed una sconfitta. Lasciateci tentare, allora, di ricordare al gentile pubblico che l’Inter e il Sig. Mazzarri sono indissolubilmente legate a doppio filo finchè contratto non li separi e che il bene o il male dell’uno si rifletterà inevitabilmente e immediatamente sull’altro. Perchè se trovare la colpa è esercizio facile per chiunque, trovare la ragione e il suo rispettivo lume è ormai appannaggio di una minoranza quasi emarginata se non invisibile. Senza contare che nella bufera che si crea internamente, gli attenti osservatori svernati da altri lidi calcistici ci sguazzano che è una meraviglia. Mettiamola così: ieri sono stati nervi sardi e parole al vento. Ma da domani insieme cambiamo musica, per avere nervi saldi e bandiere al vento.