22 Settembre 2014

EDITORIALE – Rob de matt

Sei partite ufficiali, quattro vittorie, due pareggi, un gol subito, zero sconfitte. In poche parole è questo lo score dell’Inter versione 2014/2015 fin qui. Eppure c’è già una consistente minoranza che ha già rispolverato il #MazzarriVattene, mugugna, si lamenta, strepita e compagnia bella perché la Beneamata ha pareggiato due partite di campionato (giocate in trasferta).

D’accordo, Torino e Palermo non sono proprio le compagini migliori del globo, ma tutti hanno visto di peggio, anche molto recentemente, e non c’è motivo per stare ad angustiarsi dopo appena 270′ di campionato, è troppo poco per lanciare strali contro chiunque. Poi, per carità, è verissimo che ultimamente Hernanes non si sta rendendo utile come potrebbe e che la linea a quattro vista al Barbera è piuttosto inquietante ma ci vorrà tempo perché la squadra assuma quella elasticità tattica che è condizione imprescindibile per i cambi di modulo in corso (a proposito, chi ha notato che domenica sera la partita è finita con tre punte vere? Scommettiamo che ce lo dimenticheremo nel giro di un paio di partite per tornare a parlare di 3-5-2 dogmatico e difensivismo a oltranza?) mentre il brasiliano è forse il punto di domanda più preoccupante di questo inizio di stagione.

Il Profeta vero, quello della Lazio, per capirci, a Milano non s’è ancora davvero visto. Da gennaio a maggio c’è stato qualche barlume, qualche tenue fiammella di speranza che lasciava presagire che sotto la Madunina il giocatore verdeoro potesse tornare a essere quello del primo biennio in riva al Tevere ma il giocatore sceso in campo fin qui è (forse) solo il cugino scarso dell’Hernanes che ha stupito tanti in Serie A. Qualche dubbio sul fatto che il nazionale brasiliano fosse adatto al calcio di Mazzarri in realtà c’è sempre stato fin dal suo acquisto perché, prima di tutto, è un giocatore creativo e con lampi di indubbio genio ma non è il tipico profilo dell’uomo facile da incardinare in uno schema tattico così come, per caratteristiche, è tutto fuorché un contropedista o un calciatore adatto a sviluppare un calcio verticale che sia minimalista nel numero di passaggi, che invece sono i capisaldi dell’impalcatura tattica del tecnico di San Vincenzo.

In tutto ciò, non si può non guardare alle note positive (e balcaniche) di questa nuova Inter: Vidic e Kovacic. Il serbo ha commesso un erroraccio in avvio di gara, lo hanno sottolineato tutti, ma con quella zavorra mentale dopo pochissimo era davvero difficile essere perfetti fino al fischio finale ma l’ex capitano dello United c’è riuscito alla grande. Sul numero 10 invece c’è ben poco da dire a parte i complimenti che sta meritando ogni settimana. Inoltre, le parole di Mateo a fine gara sono anche un bell’endorsment, come dicono gli esperti di politica estera, a favore del suo presunto nemico dello scorso anno, “quello che non lo faceva mai giocare”, quel Walter Mazzarri crocifisso appena qualche mese fa perché non consegnava la squadra intera a un ragazzo di appena 19 anni. L’attestato di stima di Kovacic al suo allenatore è solo un altro segno che il gruppo è unito e segue il mister.

In conclusione non si può non citare Fredy Guarin: pur con qualche imprecisione e qualche altra sbavatura, il colombiano si è rimesso in gioco davvero, sudando per meritarsi maglia e affetto e questa è un’ottima notizia perché un Guaro formato 2012 potrebbe veramente essere utile alla Beneamata. In estrema sintesi, come si può notare, non si può gridare allo scandalo, non adesso, non dopo così poche partite. Non si è ancora mai perso, deprimersi ora è, semplicemente, rob de matt come si dice a Milano.