5 Marzo 2014

Oriali il nostalgico: “L’Inter è la mia famiglia, se Thohir mi chiama accetto più che volentieri”

L’addio più doloroso della carriera da uomo di sport per Lele Oriali il nostalgico, rimarrà sempre quello a quei colori nerazzurri che ha sempre difeso con onore sia da calciatore che da dirigente sportivo. L’ex dirigente della Beneamata, dopo il passaggio di proprietà da Moratti a Thohir e l’addio di Marco Branca, sogna ancora un ritorno in quella che ha sempre definito come “casa sua” e direttamente dalle pagine di Tuttosport arrivano delle parole che sembrano un chiaro messaggio per la nuova proprietà. Questa l’intervista integrale:

Come mai i i tifosi la amano ancora? Me lo chiedo anch?io… (ride divertito Lele, ndr ) Perché credo di aver fatto qualcosa di buono prima come giocatore, per diciassette anni partendo dal settore giovanile; quindi da dirigente per altri tredici. Penso sia questo il motivo per cui gran parte dei tifosi interisti gradirebbe un mio ritorno in società. Se la richiamassero? Dopo trent?anni, l’Inter è diventata la mia seconda famiglia. Quindi, se ci fosse una chiamata da parte di Thohir, accetterei più che volentieri. Altrimenti, continuerò a fare il tifoso. Quale è stata la trattativa più difficile? Quella con la Juve per Ibrahimovic. Si sapeva che avrebbero dovuto cederlo, anche per la volontà del giocatore, però c’era sotto pure il Milan. Andai a Torino con Branca, c’era Blanc col quale trovammo un accordo per il trasferimento di Ibra e rimasi fino alle undici di sera finché non me lo firmarono. Furono due giorni tirati, con alle spalle la pressione del Milan che lo voleva a tutti i costi. E il colpo più bello? Cambiasso preso a costo zero: io e Branca fummo inizialmente criticati perché non giocava nel Real. E poi Maicon: lo vedemmo la prima volta con Mancini e ce ne innamorammo subito. Quale invece il grande flop? Quando si lavora, si può anche sbagliare: è successo a noi e, per esempio, è successo anche alla Juventus tre-quattro anni fa. Poi sia loro che noi siamo stati bravi a imparare dagli errori, perché abbiamo puntato più sulla qualità che sulla quantità. Comunque la Juve già da qualche anno è la squadra da battere e lo sarà anche per i prossimi, così come lo siamo stati noi per diversi anni. Perchè? Per i vantaggi dati dallo stadio di proprietà, perché hanno idee innovative, per la bravura della proprietà e dei dirigenti nella scelta dei giocatori e perché hanno un tecnico che, in questo momento, nel nostro campionato è il migliore”