9 Ottobre 2025

Mkhitaryan: “Chivu verticale. Pio e Bonny siano più egoisti”

L'intervista del centrocampista armeno

Approfittando della sosta per le Nazionali, Henrikh Mkhitaryan ha presentato questa settimana la sua nuova autobiografia. Un libro in cui ripercorre la sua carriera e le numerose tappe vissute prima di approdare all’Inter. Proprio il centrocampista armeno è stato quindi protagonista di una lunga intervista rilasciata questa mattina sulle pagine de La Gazzetta dello Sport:

Micki, le è cambiata la vita: da 5° più presente nella scorsa stagione a soltanto 11° in questa. 
“In realtà, per me non cambia niente: non misuro l’impegno con i minuti passati in campo. Continuo a lavorare e a lottare fino all’ultimo, in allenamento e in partita. So che non sto giocando con la vecchia continuità, ma capisco anche che, a quasi 37 anni, sia normale inserire giovani che sono il futuro del club. Per Sucic, che gioca spesso nel mio ruolo, sono solo felice: è forte, ha qualità e personalità, farà le fortune dell’Inter nei prossimi anni”. 

Ma Sucic è un… Mkhitaryan? 
“Sucic è Sucic. È serio come me, si applica e ama imparare, anche le lingue: sa che parlando l’italiano, aiuterà ancora di più. Anche per questo avrà un grande futuro. Come centrocampista moderno, piace tantissimo: ha ottime qualità tecniche, fisicamente è forte e corre già tantissimo. Deve ancora crescere tatticamente, ma ha solo 21 anni…”. 

Vale per lei, ma anche per gli altri: quanto è difficile uscire dalla comfort zone dopo così tanto tempo? 
“Non lo è se pensi che cambiare faccia sempre bene: io ne sono convinto. Se vuoi vincere, devi adattarti in fretta, accettare le scelte e le trasformazioni, non lamentarti, altrimenti finisci per distruggere l’equilibrio di squadra. Da noi, ad esempio, non lo fa nessuno e tutti sono aperti al cambiamento. Ho avuto tanti allenatori in carriera, di ogni tipo, e sono abituato a modificare il mio modo di giocare. Nel calcio e nella vita vince chi sa mettersi in gioco”. 

E come lo state facendo con il nuovo tecnico? 
“Anche se alcune cose si somigliano, il lavoro che facciamo con Chivu è diverso da quello con Inzaghi. A livello tattico è un gioco un po’ più verticale, cerchiamo di finalizzare l’azione il prima possibile, con maggiora aggressività, ma dipende anche dall’avversario: non sempre hai lo spazio. Devi capire quando e come farlo. Si tratta di dettagli, che poi sono quelli che fanno la differenza”. 

Come si vive nello scoprire la formazione solo a tre ore dal fischio di inizio? 
“Non è qualcosa che deve piacere o non piacere: va accettato, basta. Capisco chi preferisca saperlo prima, per prepararsi mentalmente, ma devi essere pronto a prescindere. Anzi, sapere se giocherai solo alla fine, ti aiuta a restare sul pezzo. Se invece pensi “tanto non parto titolare”, rischi di avere un atteggiamento negativo che danneggia te e la squadra”.

Come definirebbe la rivoluzione di Chivu? 
“È presto, lavoriamo insieme da pochi mesi, ma mi piace molto la sua cura di ogni dettaglio. È molto meticoloso, dote dei grandi tecnici. Gli allenamenti con lui sono intensi e particolarmente divertenti. Confondono tutti, danno stimoli in più, ma sono anche decisamente duri. Ti tengono sempre concentrato, una sensazione che ti aiuta in campo. In generale, Chivu è stato bravo a farci voltare pagina mentalmente dopo la fine della stagione scorsa: il passato non si cambia, ma il futuro si può scrivere”. 

Come ammette nella sua bio, nel calcio lei ha cercato sempre una figura paterna: Chivu, però, è poco più grande di lei… 
“Ora che ne ho 36 anni, la differenza di età con molti tecnici è minima: con Chivu non ci può essere un rapporto padre/figlio, ma più da amico, o meglio da fratello maggiore. Sempre con rispetto perché lui resta l’allenatore e io il giocatore: il limite esiste, è sacro, non si può valicare”. 

A proposito di fratello maggiore, che consiglio darebbe a Pio e Bonny, in rampa di lancio? 
“Ho già detto loro in privato di essere… più egoisti. Gli attaccanti devono esserlo perché vengono giudicati dai gol. Devono aiutare la squadra, come già fanno, ma alla fine si conteranno solo le loro reti. Gli ripeto sempre: “Siete voi che dovete farci vincere!”. Li posso aiutare in certi dettagli tattici, ma spetta a loro lavorare e metterla dentro. Credetemi, hanno già un grande presente, ma il futuro sarà ancora più grande, anche perché sanno comportarsi ovunque”. 

Qual è il problema della loro generazione? 
“Se guardi il cielo di notte, vedi tante stelle. Se ti concentri su una sola, non vedi più le altre. Accade lo stesso con il telefono: se guardi solo quello, non vedi cosa capita attorno a te. Per questo a me non piace che si usi troppo in spogliatoio o in palestra. Anche questo influisce sulla prestazione: poi in campo abbassi la testa, guardi solo il pallone e non vedi i compagni. Questa è una malattia per tanti ragazzi, va molto oltre il calcio”. 

Non trova, però, che su Pio ci sia troppa pressione? 
“Sì, troppa, e non mi piace. È un ragazzo di 20 anni con grande potenziale, ma gli serve il giusto tempo. Non bisogna esagerare con le aspettative, altrimenti lo si rovina. Ognuno deve fare il proprio percorso, con calma, e vedrete che presto l’Italia si godrà questo tesoro”.

Modric ha il doppio degli anni di Pio: la ispira un derby di Milano contro di lui in mezzo al campo? 
“Non è un derby tra noi, è Inter-Milan. Modric, però, è un esempio per chi ama questo gioco e crede nel calcio. Ha fatto una carriera straordinaria e dimostra che con la mentalità giusta si può durare tantissimo: io penso che ne abbia ancora per tre-quattro anni a livelli altissimi. Spinge ad andare avanti anche me: non parlo del mio contratto che scade, ma in generale io voglio giocare a pallone il più a lungo possibile. Tutto, però, a una condizione: che io sia capace di dare ancora qualcosa alla squadra. Quando sentirò che non ho più la stessa forza, arrivederci a tutti e grazie”. 

Di solito l’Inter è sempre partita da favorita, ma quest’anno insegue già: cambia qualcosa? 
“È solo un gioco psicologico tra le squadre per togliere o mettere la pressione. Alla fine tutti vogliono e possono vincere lo scudetto. Guardate la classifica: dopo sei giornate ci sono cinque-sei squadre lì in alto, qualcuna vuole per caso tirarsi fuori? Il Napoli lo ha vinto l’anno scorso, ma non possiamo negare di essere tra i favoriti pure noi: non sarà facile, ma daremo tutto per riprenderci il tricolore”. 

Questo ciclo di trasferte, Roma più Napoli, può dire al mondo chi siete davvero? 
“No, due partite non bastano. Come non erano indicative le due sconfitte precedenti. È un percorso, posso solo dire che ci stiamo preparando per raccogliere i frutti. La crescita è evidente, non manca molto per completare il puzzle: solo piccoli dettagli da sistemare per fare definitivamente clic. Ma una squadra, come un giocatore, vivrà sempre qualche momento di basso e non solo alti. L’importante è restare uniti, come gruppo e come individui”. 

Dopo la beffa col Napoli e il ko col Monaco, è più la voglia di rivincita europea o quella di scudetto? 
“Gli eventi negativi della vita non deve abbattere, ma rendere più forti. Bisogna pensare positivo, lavorare di più, migliorarsi. Ad esempio, nessuno deve credere in partenza che non avremo più la possibilità di giocarci una finale di Champions. Al contrario, devi volerci riprovare, avere più fame”. 

Rimpiange che non abbia mai avuto, forse ingiustamente, la considerazione riservata ai big? 
“Ognuno ha le proprie preferenze e io gioco solo per divertirmi, per amore del calcio, della vita e anche di me stesso. Se io sono soddisfatto, mi basta, e pazienza se gli altri non mi inseriscono nei primi dieci o nei primi cento. Certo che se fossi stato scarso, non avrei giocato nei club dove sono stato”.

Delle cinque lingue che maneggia, con quale “pensa” mentre è in campo?
“Con quella del calcio, unica e universale. Le altre mi servono per tradurre qualcosa agli altri, anche nelle partitelle, perché voglio vincere pure quelle”. 

Scelga allora una parola del cuore che valga per tutte le “sue” lingue. 
“Dico semplicemente… vita. Life. Vie. In armeno kyankʿ e in russo žiznʹ. La mia vita è nel calcio, è qui che sono felice, è qui che voglio stare ancora”. 

Quella sua parola, “ingiocabili”, è invece diventata una croce, ma lei la scorsa stagione ha anche detto: “A volte ci sentiamo troppo forti e non siamo concentrati…”. 
“Sì, è stato un problema evidente, abbiamo perso punti perché, inconsciamente, pensavamo forse che ce l’avremmo fatta comunque. Anche su questo stiamo lavorando tutti insieme assieme all’allenatore: vogliamo evitare di cadere ancora in quell’errore. Però, resto dell’idea che, se ci alleniamo bene e ci sacrifichiamo, allora per l’Inter tutto diventa davvero possibile. Non è arroganza, ma voglia”.

Foto autore

Autore:
Antonio Siragusano

Antonio Siragusano, classe 1995, fa parte della redazione di Passione Inter dal 2017, di cui ne è responsabile editoriale dal 2024. Laureato in Editoria, Culture della Comunicazione e della Moda, dal 2021 è iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Appassionato di telecronache e calciomercato, scrive di Inter da quasi dieci anni.