18 Settembre 2017

EDITORIALE – Brutta con l’anima

Il consueto editoriale del lunedì, ancora una volta incentrato sulla rilucente figura di Luciano Spalletti, l'uomo che sta forgiando un'anima pronta all'uso per una squadra da troppo tempo priva di punti di riferimento interni

Tre punti fatti di lacrime, sudore e sangue. Forse ancora più complessi di quelli strappati alla Roma nella cornice dell’Olimpico perché, in fin dei conti, dalla capitale nessuno si aspettava di tornare con in dote una vittoria mentre allo Scida, considerati l’avversario e il trend del Biscione, era atteso il quarto squillo di tromba nerazzurro di fila sicché la pressione – strano ma vero – era di più sabato che non alla seconda giornata. Ordinarie cronache dell’assurdo di una squadra di calcio, del resto.

Alla fine, però, gli uomini di Spalletti hanno completato la missione nel modo migliore e hanno finito per portarsi il bottino intero con sé, a Milano. Certo, non sarà stata una partita ben giocata – il Crotone avrebbe meritato di più ai punti ma, ehi, nel calcio conta chi fa gol (multicit. retoricamente insopportabile) – tuttavia l’Inter è rimasta attaccata al match con le unghie e con i denti fino all’ultimo, guadagnandosi la vittoria proprio grazie alla capacità di non abbandonarsi al flusso della sfida e al voler provare a portar via i tre punti fino al fischio finale e forse anche oltre. Per il bel giuoco è ancora il caso di rivolgersi altrove ma, come si diceva già qualche tempo fa, Spalletti sta facendo passi in avanti ogni domenica nella formazione di una mentalità vincente.

Perché, a prescindere dalla qualità di gioco ampiamente variabile e non sempre eccelsa (anzi, più spesso perfettibile che alta), l’Inter sta tornando a essere prima di tutto una squadra, cosa che in teoria appare sempre scontata e che invece i tifosi nerazzurri sanno benissimo non esserlo. Al di là di due terzi del primo anno di Mazzarri e del famigerato girone d’andata del Mancini bis di due anni fa, la coesione è una qualità che dalla parte bauscia di san Siro è tristemente sempre mancata negli ultimi anni e il tirar fuori un collettivo compatto dal mucchio informe di calciatori che tutti i giorni si allenano ad Appiano Gentile è già un traguardo che solo una rigida osservanza del corretto protocollo apotropaico impedisce di festeggiare come un trofeo.

Ai mai cuntent incapaci di godersi quattro vittorie di fila e il punteggio pieno (con tanto di un unico gol incassato), il tifoso medio della Beneamata non deve dare ascolto perché è vero che non si sta giocando granché bene ma, al contempo, si intravedono dei semi che – innaffiati nel modo giusto – possono un domani germogliare in un sistema che sia anche piacevole da guardare. In sintesi: la squadra non si muove a caso come in altri momenti in cui, pure, i risultati sembravano darle ugualmente ragione. E, incredibile a dirsi, il percorso di costruzione di un’identità tecnico/tattica sta proseguendo in maniera lineare, a prescindere dall’effettiva brillantezza dell’interpretazione degli uomini di Big Luciano, che rimane giustamente variabile. Il copione sta rimanendo più o meno sempre lo stesso, poi la performance degli attori cambia, com’è normale che sia. Ma, da queste parti, anche un iter di lavoro e crescita normale come quello attuale sembrava fantascienza (del tipo più spinto, tra l’altro).

Forse è esagerato dirlo dopo nemmeno tre mesi di lavoro ma la sensazione predominante che si prova mentre si guarda l’Inter è che Spalletti stia dotando questa squadra di un’anima. Che poi è anche (sempre) pure la base necessaria di tutto il resto. Specialmente delle ambizioni.

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