1 Gennaio 2020

L’INTERTINENTE – L’Inter al varco di un nuovo decennio: resoconto di un 2019 rivoluzionario

Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza di essere nerazzurri

La conclusione di un anno solare è sempre un’occasione unica per tracciare i celeberrimi resoconti, rispetto all’andamento dei 365 giorni che si apprestano a terminare la loro corsa: si pensa a quanto sia stato compiuto e a quanto sia stato lasciato pendente, si riflette sulle parole dette e su quelle omesse, e si fantastica su nuovi scenari, rimuginando sui capitoli ormai archiviati.

Propositi ed ambizioni sono i termini più gettonati nel vocabolario degli speranzosi, e forse anche per questo – concedendoci una parafrasi letteraria magari scomoda, ma sicuramente calzante – Antonio Gramsci odiava il Capodanno: più che per la sua funzione omologante, per l’imposizione di dover inaugurate necessariamente un ciclo diverso.

Se poi si inquadrano 12 mesi nell’ottica di un calendario calcistico, la difficoltà di redigere un bilancio è ancora maggiore, considerando che la metà di una stagione si inglobi a quella di un’altra, e il più delle volte le sorti della prima non coincidono con le circostanze della seconda.

Per l’appunto, il 2019 dell’Inter è stato il perfetto concentrato di quanto appena enunciato: l’urgenza di adoperarsi in un cambiamento ha prontamente incontrato la volontà di apportarlo. Così, la parentesi di Luciano Spalletti e il roboante neo corso di Antonio Conte si intersecano nello stesso filone, pur rappresentando racconti differenti.

I 5 mesi del tecnico di Certaldo sono stati una fluttuazione fra un ritrovato spirito di Interismo – che è stato riportato in auge grazie alle omelie e ai richiami di Luciano – e lo scoramento per i molteplici obiettivi svaniti, a causa di approcci leziosi e di individualismi senza controllo.
La sua iniziativa di riaccompagnare l’Inter verso dimensioni di competitività che le appartengono, si è dovuta scontrare con l’inesperienza di una rosa inadeguata per palinsesti di rilievo continentale, e con gli infantilismi di soggetti che sono stati ovviamente epurati dai gestori succeduti a Spalletti – sarà bene che ad Icardi, a Perisic e Nainggolan fischino le orecchie.

Indubbiamente, però, il toscano è stato fondamentale perché la centralità dell’Inter tornasse ad essere il requisito principe per chiunque ne vesta i colori, e per rianimare il calore di un “esercito di sentimento”, come lo stesso Spalletti ha definito il pubblico nerazzurro, che, per percentuali di presenze allo stadio, si è laureato primatista in Italia e si è consolidato in alto anche nella graduatoria europea.

E se non fosse stato per qualche ustionante delusione – la resa all’Eintracht a San Siro in Europa League, seppure decimato per via delle assenze, e il capitombolo per 4-1 di Napoli, che sostanzialmente decretò la sfiducia della dirigenza nei confronti di Spalletti -, le soddisfazioni – il frizzante Derby di ritorno e le fibrillazioni nell’atto d’epilogo contro l’Empoli – avrebbero prevalso e probabilmente gli sarebbero valse uno spiraglio di conferma.

Da giugno, il seguito: l’avvento di Antonio Conte è già un romanzo avvincente e spumeggiante, al pari del carisma dell’allenatore leccese. L’ex CT della Nazionale è la linfa di cui l’Inter necessitava per rigenerarsi, e non v’è maniera che ne si contesti l’operato: nemmeno il mancato accesso agli ottavi di finale di Champions League – svanito dinanzi ad un Barcellona non titanico nei nomi, però dinamico e gagliardo nel tenere il campo e vispo e vivace nella qualità proposta – potrà cambiare il giudizio.

Un girone praticamente da capolista, una capacità di imprimere il proprio credo e di trasporlo al rettangolo verde, e un bottino di 42 punti – una media da Tricolore -, sono il bagaglio di Conte in questo primo semestre da interista. Anche nel proscenio della Coppa Campioni l’influsso dell’irrefrenabile trascinatore è stato tangibile: benché sia stato registrato un regresso – un punto in meno in rapporto alla precedente annata -, la temerarietà e la padronanza mostrate – non tanto in 70 minuti al Camp Nou, quanto nella prima frazione di gioco a Dortmund – erano una rarità nell’intera storia formato Europa del Biscione.

Dunque, a fronte di ciò, che il 2020 prosegua sulla scia rivoluzionaria del 2019: l’Inter e gli interisti ne hanno assoluto bisogno.

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