28 Gennaio 2020

L’INTERTINENTE – Tra polemiche e veleni, benvenuto all’Inter, Antonio Conte! La gara con il Cagliari è il suo vero battesimo nerazzurro

Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza di essere nerazzurri

Più che i 4 punti vanificati tra Lecce e Cagliari – benché anche il pareggio contro l’Atalanta di 2 settimane fa abbia il retrogusto di un’occasione persa -, e ancor più del suo disertare la conferenza e le interviste post-gara, a lasciare attoniti e confusi è stato il sentore di disagio che Antonio Conte ha mostrato portandosi la mano agli occhi, stropicciandoseli a palmo aperto, a pochi minuti dal fischio finale: sin anche il semiologo meno esperto ardirebbe che quello sia un segnale di resa, di scoramento, di arrendevolezza dinanzi ad una circostanza di impossibile variabilità.

Applicata al Calcio e consegnata al ludibrio dei detrattori, una diagnosi di questo tipo indurrebbe a credere che un allenatore giunto a un tale livello di intontimento abbia perduto persino la connessione con lo spogliatoio. Nulla di più equivocato e mal intuito: Conte non soltanto può contare sul seguito assoluto e reverenziale dei suoi giocatori – la squadra ha viaggiato a ritmi da capogiro nella prima parte di stagione ed ha un ritardo di appena una partita dalla Juventus, che è bene rimarcare sia la dominatrice d’Italia da quasi un decennio -, ma ha ben saldo il polso della situazione.

L’essersi allontanato anzitempo dallo stadio non significa essere fuggito per glissare domande scomode e per nascondersi dalle proprie responsabilità, bensì aver scampato il pericolo di un linciaggio mediatico che avrebbe potuto ripercuotersi ulteriormente sulla integrità psico-emotiva del gruppo. Infatti, Conte è cosciente che l’autonomia fisico-atletica della rosa sia stata esasperata all’inverosimile in questi mesi, e dunque è altrettanto convinto che per recuperare energie mentali ed agonistiche sia indispensabile ricercare e conservare la serenità che stampa e mezzi di informazione cercano sempre di minare.

Andando maggiormente a fondo, in quella smorfia di stordimento che ha riservato sul finire dell’incontro, il tecnico salentino è sembrato acquisire la consapevolezza principe che è propria di chi sposa la causa dell’Inter e che era evidente non gli appartenesse ancora del tutto: quella di essere protagonista di una storia la cui trama è sregolata ed avvincente e che è distante un abisso da quanto vissuto in precedenza proprio da Conte. Attenzione: non che si alluda alla solita solfa della cospirazione filo-juventina, ma gli almanacchi ci insegnano che tantissimi ex illustri adoratori della Vecchia Signora, preferendo la Beneamata, abbiano toccato con mano le discrepanze tra le due.

Prendiamo il più calzante degli esempi: Giovanni Trapattoni è l’esperimento meglio riuscito di ciò che è riportato alcune righe in alto, essendosi incastonato nel mosaico interista nonostante l’ingombrante passato bianconero, perché dell’Inter colse ed accolse incostanza ed insicurezze tramutandole in possanza e brillantezza, e si calò efficacemente negli spazi vuoti di un collettivo che è sempre stato dipendete da capipopolo, per non smarrirsi e per affermarsi vincente.

Antonio Conte, che di Trapattoni è l’erede designato nonché discepolo devoto, sta rendendosi conto che scegliere l’Inter significhi aprioristicamente accettare di essere al centro del dibattito pubblico e di affrontare sbeffeggi ed oltraggi, con la bava alla bocca e il sangue agli occhi. Tant’è che la campagna di mistificazione e di distrazione, condotta dall’interna struttura giornalistica, volta a screditare la professionalità e lo zelo contiani, è la prova inconfutabile che accostarsi all’Inter sia andare in controtendenza e pensare altrimenti passionalmente ed in termini valoriali. Antonio lo sta capendo, e forse già lo immaginava: è per questo che, a prescindere, sta ormai diventando sempre più, ora dopo ora, giorno dopo giorno, gara dopo gara, uno dei nostri.

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