24 Ottobre 2014

EDITORIALE – La miglior difesa é l’attacco

Editoriale di Fulvio Santucci

Voci che si alzano, rumore di passi, una porta che sbatte così fragorosamente da far vibrare e oscillare un intero ambiente. Ce lo saremmo immaginati diversamente l’addio di Massimo Moratti, sulla via del tramonto dopo aver lasciato definitivamente la figlia in collegio, lì dove lui stesso l’ha portata 11 mesi fa nell’ottica di un futuro migliore: non avevamo pensato al coup de theatre proprio perchè eravamo certi di aver chiuso con certe dinamiche appartenenti al passato e convinti che una società comandata da altri avrebbe limitato le decisioni di pancia dell’ormai ex Presidente Onorario. La presenza di Moratti è stata per 11 mesi il confortante sguardo del padre dalla finestra più alta, a vegliare su tutti gli interisti che non si sono ancora destati da quello che fu il triplete e che hanno scolpito nella memoria quella Inter come l’unica possibile esistente e quando Giovedì si è materializzato il patatrac la destabilizzazione è stata massima e l’ambiente del tutto imbizzarrito: scampoli di vecchia Inter, quella che esponeva spesso e volentieri il fianco al servizio di chi ci poteva romanzare una storia di intrecci, dietrologie, crisi che conducevano inevitabilmente a repentini cambi di rotta e provvedimenti vorticosi all’interno dell’ambiente.

Massimo Moratti si è staccato dall’Inter alla sua maniera, di pancia.  La giusta e doverosa gratitudine che gli abbiamo tributato per ogni gioia che ci è stata regalata è già stata ampiamente esplorata nel giorno del passaggio di consegne ed oggi la potremmo anche ribadire, ma ad onor del vero se analizziamo le modalità con cui si è consumato il traumatico addio ci sarebbe parecchio da discutere. Perchè Massimo Moratti è un gran tifoso, è stato un presidente per larghi tratti vincente ed innamorato ma non per questo deve essere considerato onnisciente a prescindere, non per questo ha il diritto di mettere sè stesso più in alto dell’Inter del quale è stato fedele servitore. I tempi ed i modi con cui si è consumato il suo addio sono stati una turbativa importante ad un ambiente già destabilizzato dai risultati, proprio quando si era esaurita la psicosi esonero di Mazzarri e proprio quando la squadra sembrava aver ritrovato un’idea di identità : riaccendere il tizzone ardente di un allenatore che la Società non vuole e forse non potrebbe nemmeno far saltare è parso quasi un energico buffetto ad Erick Thohir davanti ai tifosi, un messaggio che si poteva benissimo recepire come: “Se ci fossi stato io, avrei saputo cosa fare con questo allenatore che tanto è antipatico alla tifoseria“. Ed una gran parte di tifoseria, che gli riconosce ciecamente quella onniscienza di cui parlavamo, ci è cascata con ambo le scarpe richiamando a gran voce il Morattismo come unica colonna portante dell’Inter passata, presente e futura. La verità è una sola: nel calcio di oggi, fatto di regole rigide e conti che devono necessariamente tornare, Massimo Moratti non avrebbe mai potuto operare. L’epitaffio alla sua figura presidenziale è stato scritto Lunedì da Bolingbroke, uno grazie al cui contributo il Manchester United può comprare Falcao e Di Maria in un anno senza coppe, con quella frase: “Ci sono norme che non consentiranno una gestione come quella passata”. Una frase mal recepita da chi vede nell’Inter una storia di famiglia, ma anche un concetto doveroso ed inevitabile da parte di chi è stato chiamato a fare chiarezza ed a mettere mano a una situazione che, conti alla mano, era ed è alle soglie della disperazione. Moratti, una volta compreso di essere definitivamente al canto del cigno, può essersi risentito a tal punto da cercare una ribalta personale a scapito della bandiera? Non è quello che pensa la stampa che, compattamente, sta sfoderando un attacco con la testa d’ariete al portone di un Thohir che nel modus operandi minuzioso e razionale non ha insiti i colpi di testa sulla scia dell’emotività. Lo stesso comunicato di Moratti sulle dimissioni dei membri del CDA e la sua rinuncia alla carica di presidente onorario, è stata data in pasto alle agenzie di stampa ben prima che Thohir ne fosse a conoscenza. E Walter Mazzarri? Lui che in mezzo al battage mediatico è un pesce fuor d’acqua, lui che ha il compito di pensare al campo ed a rialzare una squadra con grosse carenze soprattutto psicologiche, è stato imbeccato più e più volte sulla questione societaria ed è proprio grazie alle sue lacune in materia di comunicazione che è diventato in questi giorni la vittima designata di una stampa che fa di lui lo strumento per arrivare a quell’Erick Thohir che ha tutt’altra forza comunicativa. Lo si capisce nel momento in cui la sua conferenza pre-partita viene ridotta ad una sola frase, chiamata e preordinata, con buona pace del momento nerazzurro sul campo, dell’emergenza infortuni, delle possibili soluzioni da affrontare o di un Vidic da rilanciare, dato che a quella conferenza c’era anche il serbo: quasi nessuno si è fatto invece sfuggire l’insinuazione del dubbio che l’abbandono di Moratti dopo 20 anni di Inter fosse riconducibile a una frase di Mazzarri decontestualizzata e preparata ad arte per sfruttare la vena impulsiva dell’ex Presidente e mettere così in scena un caso mediatico di un certo peso, dopo mesi in cui la gestione Thohir aveva consentito nient’altro che sterili polemiche sui tweet di Icardi o i virgolettati costruiti di Vidic. Come altresì spiegare le conferenze stampa di Mazzarri ridotte ad una polveriera e costruite su un uomo che non comanda più da quasi un anno? Come spiegare altresì la gravità di alcuni addetti stampa nell’apostrofare, durante le conferenze stesse, taluni colleghi che nel rispetto dei professionisti con cui hanno a che fare cercano la verità e l’informazione reale a discapito della polemica e del titolo sensazionalistico da sbattere in prima pagina? Il processo per direttissima a Thohir è proseguito sulle colonne di tante testate nazionali: da chi paragona la nuova Inter ad una sorta di regime totalitario alla stregua della Corea del Nord a chi fa passare il concetto che Mazzarri voglia allontanare anche Zanetti dopo aver sapientemente allontanato Moratti, su gran parte della carta stampata a tiratura nazionale ci si specchia nell’Inter che fu condannando l’Inter che verrà, con quelli che sembrano più espedienti narrativi che appurate realtà a condire ed insaporire il concetto. E il sospetto si rafforza: non è che la consistente parte di stampa che sta sferrando questi attacchi sia fortemente preoccupata dal fatto che l’Inter oggi sia chiusa ermeticamente al suo interno senza più gli spifferi, nutrimento mediatico, che ne sono fuoriusciti durante i 20 anni di gestione Moratti? E se così fosse, come possiamo considerare giornalismo al servizio dell’utenza quello che assomiglia di più ad una rabbiosa reazione alla dipartita di un privilegiato tornaconto? Analizzando i fatti, quel che è certo sta nel fatto che l’Inter di oggi rappresenta un vero salto nel futuro, lontano dalla nostra mentalità di azienda padronale e vicino a ciò che succede nel resto del mondo conosciuto: si può anche rifiutare questo imprinting e restare ancorati al campanilismo di epoche ormai sigillate a doppia mandata, a patto che però poi si abbia la coerenza di non sparare a zero sull’Italia poco competitiva al di fuori dei propri confini e non si indichino modelli da seguire, se poi all’interno delle proprie mura tali modelli vengono violentati mediaticamente.

Si dice che la miglior difesa sia l’attacco ed è questo tipo di atteggiamento a dimostrare quanto si possa restare attaccato con le unghie e con i denti alla tranquillità della ripetizione di certe dinamiche, qualora siano favorevoli all’individuo, salvo poi puntarci il dito contro con veemenza se le cose si mettono male per la collettività. Il giornalismo però non dovrebbe avere tattiche da applicare contro ogni etica e soprattutto non dovrebbe avere avversari da abbattere con mezze verità che ripetute tante volte possono diventare verità nella cognizione di chi la assimila come tale. Un giorno, quando saremo di nuovo tutti favorevoli all’accesso ad un’informazione che non passi dal beneplacito del proprio orticello di interessi, alla nuova Inter diremo tutti grazie.