20 Ottobre 2011

Eto’o ha un pezzo di Inter con sè: il concetto di squadra vincente.

Noi tutti stiamo assistendo quest’anno a quello che sembra essere il crollo fisico/psichico di una squadra che del gruppo ammirato gli anni scorsi conserva solo i nomi sulle maglie.

C’è chi dice che è colpa di giocatori troppo logori, chi sostiene che la squadra non abbia più fame, chi accusa Moratti di campagne acquisti scellerate e di essere tornato il “mangia allenatori” di qualche anno fa. Tutti quanti analizzano ciò che hanno sotto gli occhi, in pochi ricercano la causa che ha portato a tutto questo.

Facendo un piccolo sforzo, torniamo all’estate di due anni fa: la squadra era in uno stato psicologico eccellente: dopo anni di vero terrore da prestazione europea, Mourinho ha portato la cura, appagando a dismisura i giocatori coinvolti e facendo godere con loro milioni di tifosi in tutto il mondo. Un metodo psicologico/tattico più che fisico, come testimonia l’eliminazione delle macchine per gli allenamenti, utilizzate da tutti gli allenatori prima e dopo di lui. Una vera e propria pillola dagli effetti magici che ha portato Zanetti &Co. a volerne ancora, il problema è che il propagatore di buon umore era rimasto a Madrid e dalla terra spagnola era stato importato il sergente di ferro Benitez: un vero capo, senza però l’esercito pronto a seguirlo.

“Ragazzi forza, fate questi movimenti e non dimenticate il possesso di palla”, e dall’altra parte i giocatori, abituati a vincere tutto insieme dopo anni di tentativi andati a vuoto, assecondavano poco i nuovi dettami, dando quasi l’impressione di voler giocare contro l’allenatore. Ma tra questi c’era un campione, di quelli veri, abituato a vincere ovunque, che vince champions come l’Inter ha vinto scudetti in questi anni: Samuel Eto’o. Bastavano le sue giocate, i suoi gol e le vittorie arrivavano, la platea placava la sua sete, i problemi erano nel gioco e non nella squadra, perchè qualche risultato arrivava, l’icona non era più Milito, ma era rinato il re leone: la colpa non poteva essere dei giocatori, l’ambiente piano piano si è surriscaldato fino a diventare rovente. Dopo il mondiale per club il rosso candido delle gote di Rafa si è propagato per tutto il volto mentre lui stabiliva con il suo discorso di “aut aut” la fine della sua permanenza all’Inter. Era stato chiaro: “o si cambia mentalità e personaggi, creando un progetto, oppure io non sono l’allenatore adatto.” Grazie e arrivederci.

Fuori il sergente apatico dentro la guida tutta amore e fantasia di Leonardo: squadra libera di agire e filosofia del “vai dove ti porta il cuore”. Il buon Eto’o non cambia di una virgola i suoi modi di mangiarsi le difese, come a dire: “potete mettere lì anche Topo Gigio che quest’anno ci penso io, perchè la vittoria è nel mio DNA.”

Un giocatore non fa una squadra e dopo un po’ la stanchezza emerge, fino a farti crollare nelle partite decisive per la stagione: tutto in una settimana, addio Champions e tanti saluti anche al campionato. Ma questa è l’Inter, un titolo ci vuole e il Camerunense decide di strizzare le ultime energie e tira fuori dal cilindro una finale di coppa Italia dove lui è essenziale quanto efficace: due azioni, due gol!

In estate cambia ancora allenatore, ma soprattutto decide di andare via lui: la coperta magica che teneva all’oscuro tutti i problemi del telaio, quel Samuel Eto’o che ora è a fare lo zar in Russia, a prendersi un periodo di riposo dopo tutte le energie spese gli anni scorsi. Qui sono rimasti i nostalgici di Mou, quelli che si sono sentiti vincenti e poi abbandonati, quelli che hanno ottenuto gli obiettivi ma si sono dimenticati come li hanno raggiunti. E così quest’anno Gasperini, abituato a costruire squadre più che a gestirle, è crollato, incapace di farsi accettare da gente che non vuole guide forti, vuole vincere come ha già fatto.

Ed è qui che purtroppo sta il problema apparentemente insormontabile della nostra amata Inter: tutti convinti che Mou fosse il mago della vittoria, la fonte di vita di una squadra che con due anni in più sulle spalle si vede schiaffeggiare da neopromosse come il Novara o squadre che lottano per la salvezza come il Catania. Questa era la realtà anche dello scorso anno, dove però c’era quel numero 9 vincente, uno abituato a vincere perchè sa come si fa, non perchè si aspetta di sentirsi dire dagli allenatori la ricetta magica per raggiungere i risultati. Dopo anni vissuti a temere di vincere abbiamo trovato un modo efficace per farlo e da lì ci siamo bloccati: così ha funzionato e non esistono alternative. Intanto il tempo passa, Mourinho è a Madrid, sempre interista ma lontano, Eto’o ha l’Inter nel cuore e Ranieri sembra chiedergli per favore di restituirgliela, per cercare di ricostruire una mentalità che sembra essere ferma al 22 maggio 2010, mentre il fisico invecchia in modo sempre più fragile.

Mercoledì si è vista la consapevolezza di non essere più la grande corazzata asfalta avversari di un tempo: un barlume di luce o solo un caso isolato?