28 Gennaio 2018

L’Intertinente – SPAL, Pastore e vittorie: l’Inter che è chiamata a ritrovare se stessa

Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza di essere nerazzurri

La trasferta di Ferrara all’ora di pranzo potrebbe avere un significato bivalente per l’Inter: un’inversione di marcia rispetto ai deludenti esiti degli ultimi due mesi – con l’opportunità di approcciare alle successive quattro abbordabili gare in maniera più confidente -, o un‘irreparabile conferma di una verticale flessione che potrebbe assumere i contorni di una infausta sentenza.

Spalletti l’ha sottolineato anche nella conferenza stampa di ieri: sebbene presenti ed attivi, in sede di mercato, i dirigenti non hanno ancora completamente garantito l’efficace pertinenza e la tempestiva conclusione di operazioni che occorressero al tecnico toscano di rimpolpare i reparti che necessitano d’essere rivisitati. Indubbiamente, l’acquisto di Lisandro Lopez risulterà propositivo in termini numerici e – si spera – in funzione di un suo effettivo impiego, ma i principali imbarazzi di Icardi e compagnia sono stati scovati soprattuto a centrocampo e in attacco, a fronte delle recentissime uscite di campionato.

Dunque, urge un ulteriore tassello che metta il cappello alla laboriosità di Ausilio e di Sabatini, e riesca a scuotere – mediaticamente e visceralmente – la piazza: Rafinha potrebbe sorprendere, in ragione di una classe insindacabile e di un tasso qualitativo notevole; ciò che frena nel credere si tratti della rilevazione decisiva è, però, lo scarso minutaggio totalizzato negli otto mesi precedenti al suo rientro in campo di qualche settimana fa. Superfluo rimarcare, quindi, che un ipotetico avvento di Javier Pastore accontenterebbe le trame tattiche di Spalletti e rinvigorirebbe gli ardori del Meazza nerazzurro.

Non solo: andrebbe persino ad accorciare la distanza fra l’attualità (drastica) dell’Inter, e le rosee prospettive che la proprietà e la dirigenza stanno accarezzando per rilanciare la Benamata. Indipendentemente dall’ottimo punto acciuffato nel confronto diretto con la Roma – ove è possibile preservare solo l’inerzia grintosa che la seconda frazione ha preso in divenire, alla luce di una troppo manifesta timidezza della prima -, questa squadra ha innanzitutto bisogno di emanciparsi da alcune zavorre che ne limitano configurazione organizzativa e stabilità psicologica.

Da un lato, è lesa maestà additare Icardi di inesistente applicazione senza palla; dall’altro, lo sforzo dei vari Perisic e Candreva dovrebbe essere profuso unicamente a garantire all’argentino continuità di assistenze sfruttabili. Quindi, la soluzione è presto offerta: si conceda al numero 9 l’ennesima circostanza di essere strategicamente a suo agio – fermo restando che rasenti il ridicolo apparecchiare moduli su un elemento incapace in solitaria di determinare le sorti degli incontri -, e si lasci accomodare in panchina uno tra il croato e l’italiano, con Eder subentrante in appoggio all’albiceleste; nel brevissimo termine, l’ipotesi appena esposta è l’unica percorribile, se si tiene conto che anche domenica sera abbia contribuito alla rete del pareggio nella concitazione finale.

Sul fronte della sessione di riparazione, invece, si attende fiduciosi: al netto delle restrizioni governative cinesi e della solerzia ispettiva della UEFA, ci si augura non sfumi la millesima occasione di rattoppare in maniera considerevole un organico da revisionare con interpreti già affermati, e non con un rincalzo di una compagine portoghese e con un carioca danneggiato.

di Alex Angelo D’Addio

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