27 Ottobre 2011

Vedi Sneijder…e poi godi

Chi ama il calcio, chi freme di passione davanti alle giocate dei propri idoli vestiti da calciatori probabilmente converrà sul fatto che questo sport sotto la scorza di sudore e falli, soldi ed esuberanze, nasconde un anima che forse un po’ ereticamente potremmo definire come poetica. E se siamo d?accordo sul fatto che il calcio per certi versi è anche poesia (nel senso più lato del termine) non possiamo non conferire la palma di poeti indiscussi del rettangolo di gioco ai cosiddetti trequartisti.

Categoria di calciatore storicamente difficile da inquadrare questa: chiamarli attaccanti sarebbe errato ab initio, definirli centrocampisti invece risulterebbe terribilmente riduttivo. Il trequartista galleggia infatti tra le linee, quasi etereo, e a volte anche troppo. Dà una mano in fase difensiva quando serve, ma il suo estro è tutto devoluto alle giocate con lo sguardo rivolto alla porta avversaria. Spesso anarchico, spesso bistrattato. Alcuni allenatori proprio non li sopportano i trequartisti, considerati superflui, leziosi, ghirigori inutili a una scultura che deve essere tutta compattezza e solidità. Altri invece li adorano e probabilmente allo stesso tempo li temono. Perché un tecnico sa bene che affidarsi a un trequartista può voler dire affidarsi a un?arma a doppio taglio: possono risolvere tutto, subito e in maniera spettacolare, o risultare involuti, abulici, e mandare tutto il lavoro di giorni di allenamento incentrato sulle giocate del ?fantasista? alle ortiche, perché magari il numero dieci in questione quel giorno sta con la testa altrove.

Ecco, la testa. Il trequartista prima ancora di giocare coi piedi gioca con la mente. Un ottimo trequartista sa già cosa deve fare col pallone ancor prima che questo gli capiti tra i piedi. Un ottimo trequartista legge l’azione con la stessa facilità con cui si legge un fumetto e ne traccia davanti ai suoi occhi lo svolgimento e l’esito finale con altrettanta maestria. I piedi invece sono solo lo strumento di lavoro, la penna e il calamaio per tessere i versi che il suo genio (quando questo c’è) ha colto nell’aria umida del terreno di gioco, ma che se sono di qualità come le sue idee portano a risultati che sforano nell’emozione di chi guarda evocando quel desiderio fanciullesco di prendere un pallone, lanciarsi in strada e dare sfogo a tutta la voglia di calcio che si ha dentro.

All’Inter di trequartisti ne abbiamo visti passar diversi. Alcuni sono scivolati via senza lasciare quasi segno (Dalmat? Emre?), altri invece sono entrati e si sono creati uno spazio indelebile nei cuori e nelle menti dei tifosi nerazzurri. Per loro basta il suono dei rispettivi nomi a far fare un balzo al cuore: Djorkaeff, Veron, Roberto Baggio, giusto per citare i più recenti. Oggi invece possiamo ammirare le gesta sportive di Wesley Sneijder, un olandesino tutto grinta e tecnica, uno di quelli che gioca sempre con la testa alta come a squadrare l’orizzonte fatto di erbetta alla ricerca delle geometrie di gioco vincenti. Non è un caso che a volerlo fortemente fu uno che di pallone ne capisce qualcosina, un tale Josè Mourinho; evidentemente il portoghese sentiva che la stagione perfetta, per divenire tale, doveva portare per forza di cose in dote la firma di qualità di un trequartista vero, pronto sì a sacrificarsi assieme ai suoi compagni per il bene della squadra, ma certamente insostituibile innanzitutto per la sua abilità a impostare la manovra con filtranti, lanci lunghi e invenzioni tutte personali che raramente sono macchiate dall’onta dell’errore. Dal triplete in poi però l’olandese è stato ciclicamente considerato sul piede di partenza e accostato ad altre Big d?Europa ma fortunatamente almeno fino ad ora ha continuato ad essere una certezza della compagine nerazzurra. E sì che non sarebbe affatto impresa semplice sostituire uno come lui, piuttosto converrebbe cambiare modulo in toto, eppure chi all’Inter nel recentissimo passato ha provato a fare a meno della figura del trequartista in generale e di Sneijder in particolare, sulla panchina nerazzurra è durato il tempo di cinque-sei partite (e zero vittorie). Questo qualcosa vorrà pur dire, no?

Dicevamo dunque che uno come Sneijder sarebbe difficilmente rimpiazzabile (si spera nel giovane ma ancora molto acerbo Coutinho o nell’oggetto misterioso Alvarez) e questo principalmente per un motivo: perché quella del trequartista è razza in via di estinzione. Se ne vedono sempre meno in giro. Si preferisce nel calcio attuale la fisicità e la velocità abbinate alla qualità possibilmente distribuita un po’ tra tutti i reparti di gioco, e la riprova l’abbiamo avuta evidente negli ultimi anni col Barcellona delle meraviglie, considerato il modello assoluto del calcio contemporaneo. Il 4-3-3 di Guardiola non prevede fantasisti, almeno sulla carta, perché nella realtà lo sono un po’ tutti, semplicemente sono piazzati sul campo in maniera diversa e te li ritrovi tanto in attacco, quanto a centrocampo e forse pure in difesa.

Ma noi siamo italiani. Apprezziamo e stimiamo gli spagnoli (ops, forse meglio non offenderli e chiamarli catalani!) ma abbiamo la nostra storia e la nostra cultura calcistica. Da noi il difensore è ancora quello forte fisicamente e dai piedi non esattamente sopraffini. Il centrocampista è quello che si ammazza di fatica e ogni tanto magari segna pure. L’attaccante, beh, lui deve solo buttarla dentro e tanto basta. E poi c’è lui, quando si ha la fortuna di averne uno in squadra. Il trequartista per l’appunto. Quello che quando gli arriva la palla tra i piedi ci si sente dentro battere forte il cuore perché si ha la sensazione che nel suo tocco, nelle sue giocate è nascosta la magia che solo le cose fuori dall’ordinario posseggono. Quello che non farà mai una giocata banale: piuttosto è disposto a perdere palla in un dribbling assurdo agli occhi di chi guarda ma certo non la darà semplicemente al compagno più vicino. Lui è quello che inventa una giocata, quello che crea l’occasione, quello che pennella assist, quello che disegna traiettorie imparabili.

Quello insomma che, si chiami Roberto Baggio, Juan Sebastian Veron o Wesley Sneijder poco importa, scrive versi di pura poesia calcistica lasciando negli occhi lucidi di tutti noi malati di questo sport quell’impronta d?emozione che da sola vale il famigerato costo del biglietto.